Secondo alcuni detrattori del potere degli ayatollah, il fuoco continua a covare sotto la cenere della repressione successiva ai moti per la morte di Masha Amini e, nonostante l’amalgama nazionale prodotto dagli attacchi esterni, israeliani in primo luogo e statunitensi di rimando, la prossima primavera iraniana potrebbe ripresentarsi calda. Occorre capire quanto il desiderio di costoro condizioni l’effettiva realtà. Gli analisti osservano talune attuali manovre che il passare del tempo rende necessarie: predisporre la sostituzione dell’ottantaseienne Ali Khamenei nel ruolo i Guida Suprema. Khamenei è una sorta di monumento dell’Iran islamico, in lui coincidono la carica e l’uomo. La linea khomeinista che, decennio dopo decennio, tanto ingombro ha creato alla rivoluzione iraniana assieme al velajat-e faqih e l’uomo prescelto per la bisogna, un fedelissimo preferito al marja Ali Montazeri. Dato per spacciato già all’epoca della presidenza di Ahmadinejad per un tumore alla prostata, l’attuale massimo chierico iraniano ha mostrato una pelle dura e duratura, giungendo anche a isolare quel presidente che con un pezzo del partito dei Pasdaran, voleva liquidare il clero o comunque ridimensionarne affari e comando. Invece Khamenei e l’ala tradizionalista di Qom hanno avuto la meglio su quelle manovre, e poi sull’Onda verde che quindici anni or sono voleva spodestarli e sui riformatori alla Mousavi, prosecutori delle idee dell’ex presidente Khatami. Fra proteste e repressioni sono prevalsi gli interregni del diplomatico Rohani, e dopo la misteriosa scomparsa del conservatore Raisi caduto in elicottero mentre viaggiava verso Tabriz, episodio avvolto nella nebbia non solo meteorologica, s’è giunti nel luglio 2024 alla presidenza del moderato Pezeskhian. Vivace come sempre sia sul versante della contestazione del sistema sia su quello della sua conservazione, la politica iraniana sta manovrando per il dopo Khamenei. E mentre il ridimensionamento del potere temporale del clero a favore d’un ritorno al quel quietismo che a lungo ha tenuto i turbanti lontani dalle cronache pare un obiettivo poco praticabile, c’è chi lavora per avviare l’era post Khamenei. L’iniziativa si muove attorno a nomi di chierici noti, il già citato settantasettenne ex presidente Rohani e un nipote celebre: Hassan Khomeini, cognome che conduce direttamente al nonno Ruhollah. Il loro intervento punta al mantenimento della posizione centrale del clero in politica e della figura della Guida Suprema, dotata dell’ultima parola un po’ su tutto, Parlamento e organi istituzionali compresi (Consiglio dei Guardiani che filtra i candidati alla presidenza, Assemblea degli Esperti che elegge proprio la Guida Suprema). Fra gli ottantotto membri dell’attuale Assemblea degli Esperti, entrata in carica nel maggio 2024 e presieduta da Movahedi Kermani, ci sono Ahmad Khatami (non è parente dell’ex presidente riformista bensì un acceso principìsta che fa quasi rimpiangere Yadzi, il veterano della corrente fondamentalista).
Quindi Mohsen Qomi, membro dell’Associazione del clero combattente; Hosseini Busheri, momentaneo imam della preghiera del venerdì a Qom; l’iracheno Mohsen Araki (è nato nella città santa di Najaf); Abbas Ka’abi che nel 2022 reclamava la pena di morte per i partecipanti alle proteste, bollati come anti nazionali. Ma è oltre i singoli ayatollah che guardano e tessono rapporti i due chierici vaganti a caccia di sostegno. Nelle mire di chi prevarrà ci sono lobbies e apparati che nel caso dei Pasdaran sono tendenzialmente laici, per quanto la via intrapresa da Khamenei dopo il tentativo di golpe anti clero orchestrato da Ahmadinejad ha scelto la soluzione d’un vincolo più profondo coi generali delle Guardie della Rivoluzione, concedendo loro maggiori affari. Eppure il peggior nemico, oltre all’infiltrazione di agenti del Mossad che da tempo mettono a repentaglio la sicurezza colpendo entro i confini nazionali, continuano a essere la recessione economica e il soffocamento provocato dalle sanzioni, capaci d’influenzare entrate e uscite, da quella tecnologica di missili e droni che hanno un proprio mercato mediorientale e asiatico a quella pacifica del turismo. Questo proprio durante il doppio mandato di Rohani aveva ripreso fiato, come pure le trattative sul nucleare tramite l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica incappate nei blocchi occidentali e ultimamente nella malvolenza trumpiana. Proprio per il peso che la politica estera continua ad avere sull’Iran interno il ‘pensionamento’ dell’anziano leader, che ha orientato un buon tratto della ragion di Stato iraniana con la lotta a Israele tramite l’Asse della Resistenza, appare un passo necessario. Per mutare rotta? Si vedrà. Mentre il rapporto con la Russia, rafforzato dal comune denominatore degli embarghi e già praticato sul terreno bellico durante il sostegno al regime di Asad nella straziante guerra in Siria, è uno dei tasselli che puntellano l’uscita da un angolo in cui la potenza regionale iraniana è finita in un Medioriente squassato dal Risiko internazionale. Eppure non basta. Chiunque dovesse essere la nuova Guida Suprema, il terzo candidato Mojtaba Khamenei, chiamato in causa un anno fa, è considerato da svariati osservatori una “non ipotesi”. Le ragioni afferiscono proprio alla fedeltà al khomeinismo, contrario a qualsiasi linea diretta ereditaria, invece quella d’un nipote non verrebbe considerata tale per il passaggio d’una generazione. Comunque ben oltre la figura sarà la sostanza e dunque la linea futura a rappresentare il non facile ingombro con cui Rohani, Khomeini junior o chi per loro dovrà cimentarsi. E’ l’intreccio geopolitico ed economico dell’area, è il giro delle alleanze per intenti e interessi e non solo per legami confessionali, com’è accaduto per un quarantennio, a dover relazionare il domani iraniano. Una scommessa da giocare come Paese sciita ma non solo. Per non finire isolato e abbandonato.



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