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giovedì 11 dicembre 2025

La rinascita di Patrick

 


L'8 dicembre è nato nostro figlio, e in un attimo la mia memoria si è trasformata. Il giorno che portava il peso del passato è diventato un giorno di luce. È diventato insieme il giorno della libertà e il giorno della nascita. Come se il destino avesse voluto ricordarmi che anche la memoria può guarire quando entra in contatto con un nuovo amore, quando la vita si intreccia con il senso più profondo delle cose". Dice papà Patrick, mentre mamma Reny sorride mostrando orgogliosa Wedd, il frutto del loro amore. Il neonato porta quel nome che nella radice ha il termine anglosassone wed, unione, e i genitori felici rimandano all’affetto sincero che li lega e vuole segnare il viatico dell’erede. Zaki, ormai senior, nel comunicare l’evento sui social ha sottolineato come il pensiero di quella data, che segnava comunque il giorno della definitiva liberazione e dell’uscita dall’incubo della persecuzione subìta dal regime di al Sisi, vedeva nell’8 dicembre il macigno dell’esperienza detentiva. Un percorso faticoso e doloroso, perpetuato perfidamente dalle leggi egiziane. Pur non dimenticando tutto ciò, ora l’arrivo del figlio gli pone nuove prospettive. Che però l’attivista realizza a Bologna, di cui è diventato cittadino oltre che residente, non nell’Egitto che i governi dell’Unione Europea e dell’Italia considerano un “Paese sicuro” nonostante celi nelle proprie prigioni oltre sessantamila detenuti, in gran parte politici. Zaki ne sa qualcosa, poiché il suo tormento, fatto come per altri anche di privazioni e torture, è stato protratto nel tempo da reiterate carcerazioni e svariati processi. Sino allo sbroglio giudiziario sopravvenuto per ‘grazia presidenziale’ che gli ha cancellato una pena di tre anni di carcere inflittagli dalla Corte Suprema. L’accusa, come per altri attivisti attivi prevalentemente sui social della rete, consisteva in notizie considerate false, diffuse con articoli e post sul web. La clemenza rivolta alla persona rientra nell’operazione immagine che il golpista al Sisi fa di sé dopo un decennio di crudele repressione interna, peraltro tuttora incistata. Lo scorso settembre anche un altro detenuto-simbolo, Abdel Fattah al Sisi (nessuna parentela col suo persecutore), ha ricevuto la grazia dall’omonimo che guida lo Stato egiziano. Queste benevolenze rischiarano il presidente agli occhi internazionali, in virtù del ruolo affidatogli nelle trattative sulla sicurezza nell’area di Gaza. Lì Egitto e petromonarchie coprono smanie e manìe della coppia Trump-Netanyahu per disegnare una Striscia a proprio piacimento politico e affaristico. Il vile e servile compartecipe Sisi conquista uno strapuntino nel desco della futura gestione, ma non cambia registro verso chi vuol parlare e scrivere di diritti e libertà al Cairo e dintorni.

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