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mercoledì 7 agosto 2024

Yunus, miracolare il Bangladesh

 


Hanno acclamato a gran voce il ‘banchiere del popolo’ Muhammad Yunus e lui ha detto sì, dall’alto dei suoi ottantaquattro anni ben portati ma chissà fino a quando supportati dal Dio del tempo. E’ che la ribellione di piazza in Bangladesh, quella che ha messo in fuga la matura autocrate Hasina, non ha né capi né organismi politici e rischiava di finire in mano ai militari ovvero al Partito nazionalista che nelle scorse ore ha visto liberati alcuni esponenti che hanno provato a capitalizzare il sangue su cui gli studenti bengladesi hanno costruito la ribellione alla dittatrice populista ora riparata in India. Ma non poteva certo essere l’ex premier Khaleda Zia, per anni guida preconfezionata in alternanza alla Hasina, un futuro per la nazione. Glielo impediscono l’età, una malattia che la costringe sulla sedia a rotelle, ma soprattutto l’assenza di relazione col cuore della protesta di queste settimane, un cuore che vuole cambiare sebbene gli manchi l’organizzazione per farlo. Perciò la gioventù ribelle in maniera quasi scaramantica s’affida a un simbolo, l’uomo dell’ottimismo che inventò il micro-credito e per questo ha ricevuto nel 2006 il riconoscimento del Nobel. L’idea semplice e al tempo dirompente con cui Yunus dimostrava l’onestà dei piccoli e dei poveri, poiché i prestiti del suo istituto di credito, Grameen Bank, ritornavano in cassa anche a fronte dell’assenza di garanzie ha rappresentato uno schiaffo al sistema mondiale canaglia coi deboli, ossequioso e disponibile coi potenti della finanza. I neppure trenta dollari prestati a un gruppo di donne che producevano mobili di bambù nel villaggio di Jobra, vicino alla sua nativa Chittagong, vennero restituiti e il modello Yunus iniziò ad ampliarsi sempre più sul territorio che lottava contro le devastanti inondazioni e la povertà. La banca Grameen, che in bangla significa appunto villaggio, aiutava la gente del mondo rurale e veniva sostenuta da questi clienti, creando un circolo virtuoso che risollevava le sorti economiche di molti abitanti. 

 

Cinque miliardi di dollari a cinque milioni di richiedenti, un sistema oliato a tal punto che la fama di quel banchiere atipico ch’era Yunus giunse sino a Washington nella sede della Banca Mondiale, interessata al caso. I riconoscimenti ricevuti dal visionario e alternativo economista finanziario bengladese sono sicuramente anche il frutto dei buoni uffici che questo pilastro delle istituzioni internazionali, nate con gli accordi di Bretton Woods, riconobbe a Yunus. A tal punto che alcuni crediti minuti sono diventati una prassi diffusa dalla stessa Banca Mondiale, senza però mutare né turbare gli indirizzi a lungo seguiti dal sistema nato nel 1944. E se il medesimo andò in crisi a inizi Settanta con la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, il ruolo del Fondo Monetario Internazionale e della stessa Banca Mondiale continuano a risultare centrali in quel “sud del mondo” su cui il capitalismo occidentale non demorde nel concedere aiuti in cambio di stabilità governative. Che spesso si traduce in tipologie di esecutivi e premier graditi ai sette grandi del mondo, quelli del G7, che possono allargare le maglie diventando G20 o giù di lì, comunque stabiliscono le regole dell’economia globale, sia nella sua fase di crescita sia in quella di ridimensionamento e crisi. Insomma il FMI ha 190 membri, ma chi decide sono i soliti noti del “nord del mondo”, questo gli hanno rinfacciato a lungo altri premi Nobel come Stiglitz e Sen, oppure intellettuali no-global come Chomsky e critici della rigidità di bilancio e politiche monetarie del livello di Fitoussi. Se e quanto Yunus servirà al futuro politico del disorientato Bangladesh, sofferente per le politiche esclusiviste d’un ceto politico che per trent’anni ha diviso la popolazione favorendo un’èlite, lasciando orfani decine di milioni di cittadini che non caso sono costretti a vagare per il mondo in cerca di lavoro (nutrita è la presenza nelle maggiori città italiane). Schiacciato nella geopolitica asiatica fra l’India e la Cina il Paese deve pensare a un domani nient’affatto semplice. Proprio il FMI ha garantito a lungo il potere di Sheikh Hasina. Sarà benevolo con l’amico dei poveri e soprattutto lo sosterrà a suon di miliardi come faceva finora con la signora delle clientele? 

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