Neppure quarant’anni di vita politica e una filiera fittissima di leader passati per le armi, in genere esplosive, missili, razzi, micro bombe andate a segno soprattutto grazie alle molte facce di spia infiltrate o acquisite tramite il più banale e scontato dei tradimenti: vendersi per denaro. Shabak, che sta per Sherut Ha-Bitachon Ha-Klali, è il servizio segreto che divide i bersagli col Mossad, l’altra Intelligence israeliana che agisce in giro per il mondo. Il raggio d’azione delle due strutture è amplissimo, coadiuvato da collaborazioni con le agenzie degli imperi amici, la Cia americana e l’MI6 britannico, sebbene per spirito di corpo, orgoglio e vanità gli 007 di Tel Aviv si piccano di muovere fino in fondo le proprie strategie rendendo conto d’un operato estremo agli alleati solo a cose fatte. Proprio la guerra di spie, fra le più losche della campagna antipalestinese, contro il Movimento di Resistenza Islamico ha visto Israele praticare l’eliminazione dei leader nemici con una pervicacia da sterminio pianificato. Accade da decenni appena spenti i fuochi della Prima Intifada (1987-1993) che aveva ridato vigore alla protesta a sostegno causa palestinese dopo gli smarrimenti degli accordi di Camp David, cui seguivano proprio nell’agosto 1993 gli Accordi di Oslo. I vertici israeliani vedevano che una nuova generazione di oppositori ai loro piani di occupazione-sbandamento-cancellazione dell’essenza palestinese, era nata e ne erano angosciati. La teoria, tuttora inseguita e praticata dal ceto politico di Israele che ben prima di Netanyahu ha avuto altri esecutori, di sconfiggere la resistenza palestinese eliminando cruentemente i suoi capi, mostra una palese inefficacia per la continuità con cui Hamas si rigenera e rinnova la sua leadership. Eppure Israele vuole convincersi del contrario, proseguendo la mattanza.
Una delle esecuzioni mirate che fece più scalpore fu quella dello shaykh Yassin, uomo della pre Nakba, nato nel 1936 e rimasto tetraplegico per un incidente giovanile con un amico diventato nel tempo anche compagno di lotta. Yassin era uno dei padri del Movimento islamico fra i palestinesi, l’aveva fondato dopo aver frequentato la Fratellanza Musulmana e risultava fra gli oratori più ascoltati dalla sua gente anche prima della creazione di Hamas, quando negli anni Sessanta e Settanta la resistenza anti sionista vestiva i panni laici dell’Olp e delle organizzazioni ispirate dal marxismo, i gruppi guidati da Aswad e Habash. Lo sceicco, spesso accompagnato da un giovane Haniyeh che gli spingeva la carrozzina, pareva più anziano del sessantottenne che era nel marzo 2004 quando venne disintegrato da un razzo d’un elicottero che gli volava sulla testa. Tempo un mese e il successore alla guida del partito Aziz Rantisi subiva la stessa sorte. A settembre il nuovo capo Izz El Din Khalil veniva assassinato a Damasco. Una striscia di colpi letali a effetto contro nemici simbolo, trattati come qualsiasi miliziano combattente, magari angosciosamente bombarolo come l’artificiere Yehia Ayyash, l’ingegnere, attivo a metà anni Novanta per vendicare la strage della Tomba di Abramo dell’ebreo americano Goldstein. Ayyash introdusse una fase di attentati suicidi rivolti anche ai civili israeliani, stigmatizzati da Yassin e da altri leader di Hamas, ma questo non servì a salvare la vita di nessuno. Alla fine l’ingegnere venne fatto esplodere con un telefonino, che sarebbe stato sicuro se suo cugino, comperato dagli agenti israeliani, non l’avesse tradito. Ma quella fase, siamo nel 1996, e anche il decennio successivo nel quale sotto Sharon Israele passava al setaccio i capi nemici volendo “tagliare la testa del serpente Hamas”, il livello tecnologico risultava di molto inferiore ai giorni in cui la precisione digitale e la potenza tecnologica orientano le armi nei meandri più reconditi. Sembrano non esserci più ripari, nascondigli, bunker inviolabili, sebbene la soffiata, l’infiltrazione, l’inganno riescano a guidare il colpo dove il bersaglio non l’aspetta. Ciò nonostante il pluridecapitato Hamas continua a muoversi. Quanti figli e fratelli minori dei 40.000 massacrati a Gaza possono diventare un Ismail Haniyeh? A Israele non interessa, al Medioriente che brucia sì.
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