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martedì 7 maggio 2024

Elezioni indiane, Bharat a senso unico

Un esponente locale del partito Samajwadi durante un comizio che prepara il turno elettorale nell’Uttar Pradesh ha la malaugurata idea di ricordare agli elettori di fede islamica (in quello Stato ce ne sono oltre quaranta milioni) di fare una “jihad elettorale” per scacciare il Bharatiya Janata Party dal governo. Apriti cielo! Al presidente Modi non pare vero. Il suo staff coglie l’occasione e rilancia l’offensiva, per ora verbale ma che monta nella voglia di menar le mani. Dice il premier che quel voto è “pericoloso per la democrazia del Paese” come chi lo propone. La teoria coniata da tempo della corrosione interna della società hindu da parte dei musulmani, più prolifici di quest’ultimi, se non parla esplicitamente di sostituzione etnico-religiosa si collega all’altro cavallo di battaglia anti musulmano: il presunto progetto che conduce giovani islamici a corteggiare ragazze hindu per sposarle e convertirle ad Allah. Anche qui compare il termine jihad, per la precisione “Love jihad”. Sembra un paradosso, eppure la politica indiana è sempre più costellata di tali insinuazioni che raggiungono il parossismo con conseguenti escandescenze delle due comunità, scontri sanguinari in vari casi letali. Il ceto politico di governo cavalca questo tema per accentuare l’emarginazione della pur corposa minoranza islamica che coi suoi duecento milioni di cittadini costituisce poco meno d’un sesto dell’intera popolazione indiana. Finora anche parecchi musulmani hanno scelto di sostenere Modi percepito come uomo del popolo e impegnato a favore della gente. Comunque l’accentuazione delle posizioni su menzionate inizia ad allontanare il voto musulmano dal Bjp, un consenso che regge per l’idiosincrasia di tanti emarginati di ogni confessione nei confronti dello storico Partito del Congresso considerato statalista, familista e corrotto. Questo gruppo, di fatto l’avversario del Bjp più in vista, rimane il nemico da battere e gli strali di Modi e dei suoi soci contro Raul Gandhi si susseguono in ogni manifestazione. Il Congresso - dice il partito hindu - dietro il progetto del ritorno a un’India unitaria e solidale cela il disegno di nazionalizzare ogni cosa finanche il banchetto di vendita nel mercatino, le singole casupole in cui sopravvivono milioni di famiglie d’ogni religione, il moto-carrettino con cui si va a lavorare, la bici usata per spostarsi dall’indianino povero. La loro vittoria sarebbe un passo indietro nella storia e nell’economia, fa intendere il Bjp, proponendo l’ennesima sparata. Ma di esagerazioni ed esasperazioni sono pieni gli incontri pubblici e i dibattiti televisivi con un’accentuazione dei toni meschina e preoccupante perché montata dagli stessi politici, anche da coloro che ricoprono incarichi istituzionali. Ciò che gli odierni commentatori elettorali non ammettono è quando certe drammatizzazioni vengono diffuse da figure che dovrebbero avere il buon gusto di non esporsi perché rappresentano l’intera nazione, e Modi è in cima alla lista. Però il desiderio di polarizzare il clima politico, raccogliere i sostenitori non in base al programma, ma in contrapposizione e in odio agli altri: tutti gli avversari del Bjp, tutti i non hindu e i contestatori dell’hindutva e gli stranieri, porta l’elettorato del Bharat a considerarsi la sola  immagine del Paese che deve sbarazzarsi di quel che ha inquinato le radici, dall’era Moghul all’epoca coloniale, e indicare la via alla quale ogni indiano deve conformarsi. Società monocorde di certezze assolute, dunque, che non ammette diversità e pluralismi, ambiente soffocante che non vuole confronti né alternative. Le urne si muovono a milioni verso quest’orizzonte.

 

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