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mercoledì 14 febbraio 2024

Pakistan, la coalizione dei clan

 


In cinque giorni il nodo gordiano delle elezioni pakistane viene reciso. Con una decisione drastica che tiene fede a quella storia. Dei tre blocchi di voti che hanno premiato i candidati indipendenti facenti capo al Pakistan Tehreek-e Insaf impossibilitati a presentarsi come partito, alla Lega Musulmana-N e al Partito del Popolo Pakistano resta isolato solo il primo accreditato di 93 o 97 deputati (la Commissione elettorale, pur accusata di brogli, darà a giorni le cifre definitive). In realtà il portavoce del Pti ha riferito di una iniziale ricerca di accordi coi partiti religiosi,   soprattutto con Majlis-e Wahdat Muslimeen  un’organizzazione sciita che cerca un rapporto coi sunniti.  La collaborazione è sfumata anche perché non sarebbe bastata a raggiungere i 134 seggi per formare una maggioranza di governo. Così il passo energico e sinergico lo compiono gli altri due blocchi, da decenni strutturati come partiti di famiglia: gli Sharif e i Bhutto. La Lega Musulmana-N di Sharif, che ha raccolto gran parte dei 73 seggi nell’area orientale del Paese, mette da parte le annose dispute, le accuse, gli odi verso il Partito del Popolo Pakistano del clan Bhutto-Zardari (54 seggi) e gli tende la mano per un esecutivo di coalizione, proponendo addirittura come premier Bilawal Zardari. Non un miracolo, ma un colpo di realismo opportunista. I due gruppi capaci di scambiarsi astio verbale seguìto, in diverse circostanze, da quello fisico armato di bastoni, coltelli e armi da fuoco, s’immergono in un idillio politico al quale deve far seguire l’acquisto d’un pugno di deputati per raggiungere lo scopo. Acquistarli non è un semplice eufemismo, visto quanto hanno mostrato nei decenni le rispettive leadership. Egocentriche, senza scrupoli, pluricondannate per corruzione, utili ai propri guadagni non certo al Pil nazionale. Stavolta la situazione potrebbe essere diversa: il Pakistan senza guida rischia il tracollo. E’ l’orizzonte apparso nell’ultimo biennio, dalla cacciata di Imran Khan.

 

In realtà due governi ci sono stati. Dall’agosto scorso uno tecnico che ha preparato queste elezioni, e uno precedente diretto dal minore dei fratelli Sharif, lo Shehbaz che ora il navigato Nawaz, rilancia dopo la risposta di queste ore offerta dal leader del PPP: andate avanti voi. Dunque, si ricomincerebbe dalla situazione creatasi nel 2022: via Khan dentro Sharif. E mentre per tale decisione, manifestazioni e turbolenze dei sostenitori di Khan si sono inseguite per mesi in base al sospetto d’un colpo di mano occulto, ora tutto può avvenire alla luce del sole e grazie alla legittimazione dell’urna. Potrà bastare? Sarà difficile, anche perché problemi concreti sentiti dalla gente riguardano il lavoro e l’inflazione. Quest’ultima s’attesta al 40%, mentre l’occupazione risente degli investimenti esteri fuggiti per il caos sociale e geopolitico. Chi non si è presentato alle elezioni sono due Eminenze grigie: i militari e i talebani. I primi consigliano, condizionano, in mancanza d’altro si prendono direttamente la scena. Successe con Zia-ul Haq nel 1977 e con Musharraf nel 1999. C’è il loro zampino nel disarcionamento di Khan, con l’ex capo di Stato Maggiore Bajwa, cui oggi segue il benestare per la coalizione dei ‘partiti familiari’ da parte dell’attuale boss dell’esercito Munir. I generali dicono: date una parvenza di democrazia e fate funzionare il governo, così il Fondo Monetario Internazionale rilancia i suoi finanziamenti cui magari seguiranno quelli di aziende private a caccia di manodopera a prezzi non bassi ma stracciatissimi. Altra aria coi taliban, ufficiali e quelli legati a tendenze ancor più fanatiche dei Tehreek-e Taliban, un esempio per tutti i Lashkar-e Taiba. Col loro jihadismo allo stato puro - spesso orientato al solo stragismo per difendere lo spazio territoriale in un Paese che comunque accoglie le madrase deobandi della predicazione estrema e fanatica - c’è poco da discutere. Periodicamente taluni governi, dando via libera ad altrettanto sanguinose repressioni, li combattono e lasciano sul terreno morti propri e vittime civili. Facendo convivere la predicazione islamica alla vita e quella che punta solo alla morte.

 

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