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venerdì 13 ottobre 2023

Le ore contate dei gazesi

 

L’idea umanitaria di Israele consiste nell’evacuare la metà della gente di Gaza. Tutti via da Gaza city che fa 800.000 abitanti e dalla fascia di Gaza nord, 400.000. Così nell’indispensabile prossima operazione militare, già denominata ‘Spade di ferro‘, atta a bonificare-punire-azzerare l’area da cui è partita l’azione che Hamas ha chiamato ‘Tempesta di Al Aqsa’, ci sarà qualche morto in meno. In attesa del via libera ponderato da Netanyahu all’estero e all’interno, coi colloqui col Segretario di Stato americano Blinken e con l’ampia coalizione politica che affratella ogni partito della Knesset attorno  allo Stato ebraico, si prospetta di travasare oltre il confine di Rafah  una massa di persone più numerosa di quella che oltre un settantennio fa diede origine alla Nakba. Le Nazioni Unite hanno già lanciato l’allarme, parlando di catastrofe umanitaria. Un simile trasferimento non è possibile né auspicabile per la destabilizzazione che creerebbe nel vicino Egitto, da parte sua nient’affatto disponibile ad aprirsi a una simile soluzione. Per ora prevale il tono bellico-burocratico con cui Israel Defence Forces ordina a ciascun gazese: "Potrai di tornare a Gaza city solo quando un altro annuncio lo permetterà. Non avvicinarti all'area della recinzione di sicurezza con lo Stato di Israele”. Oltre la metà di chi deve sloggiare sono bambini, molti sotto i sei anni d’età. Se non li hanno perduti sotto le bombe dipendono totalmente dai genitori, e tutti dipendono dal sostegno economico internazionale che è stato in parte bloccato, in parte potrebbe esserlo a breve. L’altra voce che circola fra le macerie e nelle case ancora in piedi è dell’autorità del Movimento di Resistenza IslamicaNotizie false – dice del proclama dell’Idf e poi – restate nelle vostre case (dove comunque non c’è luce, né acqua e chi resoconta da lì dice che l'aria di morte è dentro ogni pertugio rimasto ancora in piedi) occorre rimanere fermi davanti a questa guerra psicologica disgustosa condotta dall'occupazione”. Farlo accettare a vedove con cinque minori al seguito non è un automatismo. Forse chi fra queste donne ha uno, due o più figli combattenti fra le fila Hamas o della Jihad può obbedire a un suggerimento che comunque ha il sapore di martirio. E trasformare i civili in martiri non è un’idea vincente, per tutto quello che sta mostrando su entrambi i fronti. Mentre l'Unrwa ha trasferito il suo centro operativo e il personale a sud per continuare le proprie iniziative  umanitarie e il sostegno dei rifugiati, i vertici dell’agenzia Onu provano a far recedere i contendenti dai citati propositi che in ogni caso si scaricano su una popolazione in preda al caos oltre che angosciata dal panico per quanto visto e subìto. Chi accettasse di farlo si chiede dove poter andare. Di fatto la stessa decina di chilometri verso il confine sud - da Khan Younis a Rafah - che contano settecentomila abitanti, non potrebbero raccogliere neppure all’aria aperta in eventuali  campi attrezzati, la massa di sfollati proveniente dalla parte nord della Striscia. “Il tracollo sarebbe totale” dichiarava stamane ad Al Jazeera un responsabile dell’Unrwa. Mentre Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina sostiene che "La comunità internazionale deve agire per prevenire una calamità causata da questo massiccio spostamento”. Ma gli sviluppi della vicenda si decidono fuori dal Palazzo di Vetro, e le diplomazie mondiali comunque tutte mobilitate non stanno trovando la quadratura del cerchio. Il cerchio che si stringe è la risposta che Israele ‘deve’ dare. I falchi come il ministro della Difesa Gallant hanno deciso lo sradicamento e l’annientamento di Hamas quante salme si lasceranno dietro le ‘Spade di ferro’ si vedrà a breve. Per i registi della vendetta non è cinismo. E’ la giusta punizione per i mostri di Hamas, una vendetta umanitaria che dice a un contorno di due milioni di anime dannate: “andate via”, e poco pensa anche ad anime e corpi dei suoi centotrenta figli ostaggi del mostro. 


 

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