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sabato 15 aprile 2023

Tunisia, calciatore a fuoco come Bouazizi

 


Poco più di cento chilometri in linea d’area separano le località tunisine di Haffouz e Sidi Bouzid. Lungo le vie asfaltate il percorso è maggiore, gli spazi semideserti e polverosi bruciati da mesi di siccità, le esistenze difficili, specie negli ultimi due anni d’inflazione e repressione. Ad Haffouz lunedì scorso un uomo, Nizar Issaoui, s’è dato fuoco. E ieri è giuntala notizia, tragica, del suo decesso. Il gesto è una protesta estrema che fa venire alla memoria – anche per l’ampia eco che ebbe all’epoca e per quello che innescò – l’azione dell’ambulante Mohamed Bouazizi che a 26 anni si diede fuoco contro la polizia di Ben Ali che gli sequestrava la merce perché privo di licenza commerciale. A Mohamed il fuoco segnò inesorabilmente il corpo, alla società tunisina funse da scintilla per far divampare la ribellione socio-politica che nelle settimane seguenti cacciò il raìs Ben Ali ed espanse le proteste nel mondo arabo. Nizar all’epoca aveva un anno meno di Mohamed, venticinque, non sappiamo se partecipò alle tumultuose manifestazioni che lanciarono le cosiddette ‘primavere’ travolte e tramontate in molti Paesi islamici. Nella vita lui ha fatto altro, giocando al calcio è riuscito a raggiungere la massima serie tunisina, che non è lucrosa come quelle del Gotha calcistico europeo o sudamericano, ma è pur sempre un’occupazione pregiata rispetto a vendere frutta senza licenza. Il destino ha voluto che sulla frutta, un chilo di banane, che il rivenditore proponeva a 10 dinari  triplicandone il prezzo ordinario, Nizar abbia innescato le  rimostranze sino a finire davanti a una stazione di polizia. Evidentemente il suo status non era proprio benestante. 

 

Lì la tensione è cresciuta a tal punto che Issaoui è stato accusato di azione terroristica. Incredulo ha continuato a contestare e, prima che gli agenti giungessero ad arrestarlo, s’è dato fuoco, forse emulando Bouazizi. Anche per lui l’effetto è stato drammatico: le ustioni non gli hanno dato scampo ed è deceduto. La morte ha spinto in strada decine di giovani che hanno assediato la stazione di polizia lanciando pietre e sono stati respinti con lacrimogeni. Da mesi lo stress nel Paese è altissimo. La presunta “cura” inventata dal presidente Saïed - che un anno fa gli è valsa solo una trasformazione della Carta Costituzionale in funzione iper presidenzialista con cui ha limitato i poteri del Parlamento a favore del suo ruolo - è stata seguita da un progetto autoritario sulla “sicurezza nazionale”. Grazie al quale Robocop (così Saïed viene definito per la sua propensione allo stato di polizia) sta attuando una sequela di arresti verso figure d’ogni genere. Ultime vittime: l’imprenditore Eltaïef, Jelassi uno dei leader di Ennadha, il direttore della radio Mosaïque, Noureddine Boutar. Davanti a un clima repressivo che non conosce confini non si facevano eccezioni per il calciatore Issaoui, applicando l’equazione: protestatario uguale a terrorista. Cercando di cavalcare una recente fase in cui s’è anche diffusa la diceria d’una malattia che l’affliggerebbe, peraltro subito smentita dal suo staff, il presidente ha cercato d’intervenire da par suo sulla questione dei flussi migratori che attraversano il Paese. Dallo scorso autunno i porti di Sfax a sud, Biserta a nord e pure Tunisi sono diventati gli avamposti per il salto verso l’Italia o Malta di centinaia d’imbarcazioni della fuga migratoria. 

 

Su quei natanti di fortuna viaggia una gran quantità di gente proveniente dall’Africa profonda, ma tentano la traversata anche tanti giovani tunisini afflitti da disoccupazione e assenza di futuro. Mister Robocop braccato dagli omologhi dell’altra sponda del Mediterraneo, Meloni in testa, interessati a bloccare quelle partenze, ha stigmatizzato la presenza di troppi subsahariani nel proprio Paese e ha denunciato un pericolo di sostituzione etnica (sic). A tali dichiarazioni erano seguiti atti di violenza fisica verso i migranti, realizzati dalle stesse forze dell’ordine alla maniera razzista già conosciuta in territorio libico. Organismi umanitari internazionali avevano inoltrato proteste alle autorità tunisine e al presidente medesimo senza ricevere riscontri. Intensa, invece, l’iniziativa rivolta agli incontri istituzionali col governo italiano e coi rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale che ha promesso un aiuto che s’aggira sui due miliardi di dollari. La contropartita sarebbe una riforma di cui a tutt’oggi non si vede alcun contorno poiché la fobìa liberticida di Saïed fa terra bruciata non solo nei confronti dell’intera opposizione che ha boicottato le elezioni di dicembre (ha votato il 20% dell’elettorato) ma, come accennavamo, anche verso elementi dell’imprenditoria e della comunicazione. Il Paese,  bisognoso di capitali per risollevare una disoccupazione che supera ampiamente il 30%, non trova investimenti né fra gli “amici” occidentali tanto attivi all’epoca dei Bourghiba e Ben Ali, né fra i solventi emiri dei petrodollari che guardano altrove. E il fuoco che ha devastato la cute del calciatore Issaoui, finito suicida come Bouazizi, può aggirare l’autolesionismo e scatenarsi altrove.

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