Il tonfo col quale un presunto campione di economia e finanza come Gautam Adani, giudicato nel novembre 2022 dalla rivista Forbes il terzo imprenditore più ricco al mondo con 144 miliardi di dollari di patrimonio, perdeva dopo solo due mesi oltre 90 miliardi di quella fortuna, può forse essere spiegato da vicende come quella che in questi giorni fanno fibrillare la politica del Bangladesh. Per la cronaca il 23 gennaio di quest’anno le azioni delle società del tycoon indiano subivano un crollo verticale sulle Borse indiana e asiatica a seguito di accuse di manipolazione e frode lanciategli da Hindenburg Research, una società di ricerca americana sugli investimenti speculativi. La fonte delle accuse è privata, la reazione di Adani Group è stata immediata: “si tratta d’un attacco calcolato, basato sulla menzogna”, ma la finanza ha regole fumose e nessuna morale, chi ci sguazza ha peli su cuore e coltello fra i denti e i titoli Adani Enterprises sono precipitati. Sempre dai lidi delle Borse, s’è saputo che gli aiuti per risollevare le sorti del magnate del Gujurat non sono mancati: nella settimana seguente International Holding di Abu Dhabi ha investito centinaia di milioni di dollari su quelle azioni, però lo schianto s’era verificato, lo staff del riccone che non perde mai il sorriso dovrà impegnarsi a recuperare i capitali bruciati. Ma non è un problema. Nelle varie attività di Adani (Adani Power, Adani Transmission, Adani Green Energy, Adani Total Gas, Adani Wilmar e NDTV) che coinvolgono energia, produzione chimica, metallurgica, tessile, agricoltura, commercio, infrastrutture, media esistono contratti internazionali favoriti dalla politica che l’odierno sessantunenne tycoon ha sempre curato. Ancor più dall’ascesa al vertice del Paese di Narendra Modi, il compaesano primo ministro che proviene da un paesino (Vadnagar), un centinaio di chilometri più a nord della collocazione del clan Adani insediato nella metropoli di Ahmedabad. Gautam avrebbe potuto seguire le orme del padre mercante di tessuti, ma aveva mire più alte e già adolescente iniziava a lavorare come selezionatore di diamanti a Mumbai. Dopo il diploma s’iscrisse alla facoltà di Economia che lasciò presto, perché l’intento di maneggiar denaro era più forte delle teorizzazioni monetarie.
Ventenne era accanto a un fratello maggiore a produrre e vendere polimeri. Intuito e desiderio viaggiavano affiancati nella testa del Gautam imprenditore che si gettò a capofitto nel mare delle liberalizzazioni volute dai governi indiani. Fra appalti locali (la gestione del porto di Mundra nella regione d’origine), iniziative nazionali ed estere sempre più ampie gli investimenti targati Adani crescono e si diversificano. I rapporti con la politica risultano nient’affatto casuali e servono a suggellare vantaggi non indifferenti. L’ultimo chiama in causa la maggiore società elettrica indiana (avrete capito che è la sua, Adani Power Ldt) che fornisce energia al vicino Bangladesh. Risulta però che il governo di Dacca pagherà un prezzo molto più elevato quell’energia ottenuta bruciando carbone di scarsa qualità ricavato da forniture australiane di proprietà sempre di Adani, spedite via mare da trasporti navali afferenti ad Adani che attraccano in un porto gestito dalla sua holding. Un commercio capace di moltiplicare per quattro le entrate del magnate. Del resto tutto ciò è in piedi da anni grazie agli accordi fra Modi e la sua omologa nel Bangladesh Sheikh Hasina Wazed, la donna premier più longeva al mondo in carica ininterrottamente dal 2009 (è al quarto mandato). Figlia dello sceicco bengalese Mujibur Rahman, Hasina è di religione musulmana, ma resta nelle grazie politiche del puro hinduista Modi per ragioni di Stato non certo di fede. Il leader indiano ha già calda la frontiera occidentale col Pakistan e non pensa d’inimicarsi sul confine orientale un’altra nazione a maggioranza islamica. Sebbene il Bangladesh, territorio dei grandi fiumi e con un notevole dislivello marino che gli studiosi monitorano per le frequenti alluvioni foriere di migrazioni forzate, abbia una cospicua minoranza hindu (17 milioni su 166 milioni di abitanti). Motivo d’ulteriore diplomazia più che fra partiti diversi (l’indiano Bharatiya Janata Party è di destra, mentre la bengalese Awami League risulta di sinistra), fra leader assetati di potere, fortemente autoritari, che dicono di governare per il popolo, ma ne affossano i diritti a favore degli imprenditori pigliatutto alla Adani. Che può anche permettersi di perdere miliardi in Borsa poiché appalti regàli o regali d’appalto non gli mancheranno.