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venerdì 16 settembre 2022

Samarcanda, Sharif un richiamo allo SCO

 

Telecamere e taccuini puntati su Xi Jinping e Putin nel vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) che riunisce e allarga sempre più adesioni e interessi dell’altro mondo, quello che l’egotismo occidentale trascura o demonizza, hanno portato a Samarcanda molte presenze rispetto all’originario manipolo di Repubbliche ex sovietiche (Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan) con cui Cina e Russia percorrevano i primi passi nel 1996. Nel globo che cambia con una ridefinizione di alleanze, spazi e prospettive Pechino e il proprio passepartout della “via della seta” attraggono giganti e pesi medi dell’economia, della demografia, del geopolitica d’un immenso Medioriente. Dunque prima Uzbekistan, poi India, Pakistan, Iran, e Turchia più osservatori e partner dialoganti: Bielorussia, Azerbaijan (doveva partecipare pure l’Armenia ma l’attuale crisi armata con gli azeri ha tenuto a casa il contestato premier Pashinyan) e Sri Lanka, Nepal, Cambogia. Altri Stati potranno inserirsi nell’organizzazione che finora raccoglie il 44% della popolazione mondiale e un quarto del suo Pil. Alle visioni d’ampio respiro cui incontri a due, dei leader russo e cinese per le destabilizzazioni prodotte dalla guerra in Ucraina e dai conseguenti conflitti economici (per ora su gas e cereali), ai dialoghi informali ma sostanziali come quello immortalato dai cronisti presenti fra Erdoğan, Aliyev, Putin, Lukashenko, Raisi, ha cercato spazio un intervento ufficiale dell’attuale primo ministro pakistano Shehbaz Sharif. Che ha ammonito: “In questa fase non dobbiamo compiere l’errore di ignorare l’Afghanistan”. 

 



Più che per la tragedia alimentare che coinvolge da mesi oltre trenta milioni di abitanti di quelle province, più che per le oppressioni rilanciate ai diritti delle donne su lavoro, studio, libertà di movimento e di vita, l’interesse di Sharif è rivolto alla sicurezza. E lui non lo nasconde. Un assillo che riporta in casa - oltre il lungo confine che da un secolo e mezzo ha lacerato il Pashtunistan, tanto caro all’etnìa maggioritaria in terra afghana e alle teorie d’una parte degli attuali talebani, il potente clan Haqqani, e di molti jihadisti presenti di là (Isis Khorasan) e di qua (Tehreek-e-Taliban e Lashkar-e-Tayyiba) - la questione di un’infinita violenza cieca e sanguinaria. Per il premier pakistano rafforzare la sicurezza nel martoriato Paese confinante produce effetti benefici per l’esistenza di milioni d’individui oggi intimoriti anche nell’uscire di casa per paura degli attentati, e poter dare fiato a un’economia inesistente nell’Emirato. Assente, prim’ancora che per le cautele diplomatiche che non portano nessuna nazione a riconoscere il nuovo regime per non offrire sponda all’intransigenza degli studenti coranici, perché qualsiasi investimento necessita di tranquillità, non di bombe di qualsivoglia natura. La stessa Cina, presente da quasi un quindicennio nelle miniere di quella terra e interessata alle sue ‘terre rare’, dovrebbe impegnarsi per la stabilizzazione. Il consiglio è scaturito da valutazioni indirette, Sharif non s’è permesso di dettare l’agenda a Xi, gli allungava la mano sia per l’emergenza dei recenti disastri delle inondazioni casalinghe, sia per iniziative future. Il presidente cinese annuendo ha parlato di cooperazione nei settori agricolo, industriale, e pure tecnologico e scientifico, facendo fischiare le orecchie all’indiano Modi mostratosi freddo con l’omologo pakistano e venendo ripagato con la stessa moneta. Xi ha invitato Sharif a Pechino per il prossimo novembre, se si discuterà anche di sicurezza in Afghanistan e sui confini i due Stati è presto per dirlo.

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