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martedì 31 maggio 2022

Islamabad-Tehreek-i-Taliban, un colloquio scottante

 

Fortemente criticato per le aperture verso i Tehreek-i-Taliban, gruppo da tempo fuorilegge in Pakistan, l’ex premier Imran Khan non è stato l’unico a trattare col fondamentalismo armato. Il Capo di Stato Alvi e l’ex ministro degli Esteri Qureshi sostenevano la linea del dialogo, iniziato lo scorso settembre e interrotto a fine novembre perché le richieste del TTP apparivano onerose. Domandavano soprattutto la scarcerazione di militanti accusati di sanguinosi attentati. Solo i due mesi di trattative avevano interrotto le azioni del gruppo che durante il 2021 ha inanellato oltre quaranta attacchi, conclusi con l’uccisione di 79 persone. Fra le vittime anche inermi cittadini, sventrati da bombe o finiti dentro sparatorie che colpivano membri di polizia ed esercito. Ora l’attuale premier Shehbaz Sharif e il ministro degli Esteri Bhutto Zardari pensano di rilanciare colloqui col gruppo armato, simili a quelli che criticavano a Khan, sempre inseguendo una pacificazione tutt’altro che semplice. Già nei mesi scorsi ‘facilitatore’ degli incontri era stato Sirajuddin Haqqani, leader dell’omonimo clan afghano, e dallo scorso settembre ministro dell’Interno dell’Emirato talebano. Lui e i suoi parenti stretti - fratello, zii, cugini - già accusati di rapportarsi alla mai morta rete di Al-Qaeda, potrebbero continuare a tener vive le relazioni con questa componente, sebbene dalla data della presa del potere i vertici dell’Emirato afghano smentiscano ogni relazione col noto gruppo terrorista. Però i ‘coranici’ del secondo Emirato di Kabul affermano diverse cose, messe in discussione dalla realtà. Le più clamorose la nuova linea di condotta verso le donne, finite ancora una volta sotto il burqa e fuori dalle scuole. Soggetti inattendibili, dunque. E pur volendo ribadire la difesa del progetto nazionale, strategia ben diversa da quanto perseguono sia Isis, sia Qaeda, l’impatto decisionista del clan Haqqani sul Gotha dei turbanti afghani, non è nuovo e potrebbe ripresentarsi. 

 

Verso i taliban pakistani proprio Sirajuddin, il più cinico fra i miliziani diventati ‘statisti’, s’era speso in un momento di duro scontro fra TTP ed esercito di Islamabad. Quando il Waziristan del nord è stato rastrellato via terra dai soldati pakistani e bombardato dall’aviazione, i Tehreek sono riparati a ovest, nelle province afghane controllate dai turbanti fratelli. E’ la storia dell’ultimo decennio e Haqqani diventava ambasciatore di tale accoglienza. Nel ventennio trascorso lo Stato pakistano ha guardato il disastrato vicino come un terreno di conquista, rappresentava l’altra faccia dell’occupazione occidentale, con la differenza d’usare l’arma dell’economia anziché l’economia delle armi. Col ritorno al potere dei talebani a Kabul un riavvicinamento ai turbanti esterni e interni può far mutare la tattica, non la strategia di Islamabad. Lavorare sulla sicurezza con l’azzeramento degli attentati può servire a chi governa entrambi i Paesi, così da poter lasciare spazio a quegli investimenti progettati da tempo. Il gasdotto Tapi - dal Turkmenistan all’India, attraverso Afghanistan e Pakistan - è uno di questi. L’instabilità prodotta dagli attentati dell’Isis Khorasan nelle due nazioni di mezzo può avvicinare i due esecutivi, se appunto si portano dalla propria parte soggetti con cui lo Stato Islamico realizza alleanze di comodo. Fra questi proprio i Tehreek-i-Taliban con cui, dopo Khan, Sharif rilancia il piano di pacificazione. Le richieste talebane saranno sicuramente quelle di sei mesi fa: ritiro delle truppe dai territori delle aree tribali (Fata), rafforzamento di una propria versione della Shari’a tramite il Nizam-i-Adl, un atto che nel 2009 il governo pakistano approvò per placare uno scontro interno sempre contro i TTP. Quel regolamento coinvolge vari distretti nord-occidentali del Paese, conosciuti come la Divisione Malakand, abitati da almeno 35 milioni di persone. Per il governo della Lega Musulmana-N e dei suoi alleati s’apre una fase rovente e incerta.

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