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mercoledì 20 aprile 2022

Propaganda pakistana

Disinformazione e propaganda. Mica solo in Ucraina, sebbene quello scenario sia costellato di orrori e morte, anche i popolosi distretti pakistani, turbati nei mesi scorsi da tumulti fondamentalisti e attualmente da turbolenze economiche, stanno vivendo una contrapposizione politica crescente. Verità e finzione s’intrecciano per influenzare chi osserva esterrefatto un orizzonte sempre più confuso. E’ l’ex premier Imran Khan, rimosso dall’incarico dopo la sfiducia parlamentare a infiammare le piazze.  Porta in giro per il Paese la sua tesi che alimenta la protesta: è in atto un subdolo colpo di mano volto a un cambio di rotta. La regìa, manco a dirlo, sarebbe statunitense, la vittima Imran stesso e il suo partito, dai politologi marchiato come popolar-populista, che ha rimescolato decenni di sponda filoamericana, oscillando negli ultimi tempi fra taliban afghani e pakistani, regime putiniano, la Cina di Xi. Nella visione del Pakistan Tehreek-e Insaf, gruppo fondato dallo stesso Khan quand’è entrato nell’agone elettorale, ciascuna di queste mosse ha una logica: verso i coranici oltreconfine e di casa per una politica di convivenza, verso Mosca per approvvigionamenti energetici indispensabili alle industrie interne, verso Pechino per inserire la nazione nei commerci delle varie vie della seta che si dipanano da Oriente a Occidente. Khan non cita gli ayatollah, perché la sua disinvoltura non è giunta ad avvicinarli: rimuovere l’incistata concorrenza regionale fra Islamabad e Teheran non è cosa semplice. Comunque nelle partecipatissime adunate di questi giorni, l’ultima a Karachi, l’ex campione di cricket ha fatto di tutto per insinuare il sospetto del complotto non solo nei suoi confronti, ma verso l’intera Umma musulmana del Pakistan. Un rifiuto l’ha incassato dalle gerarchie militari venute allo scoperto col generale Qamar Bajwa che ha messo in guardia tutti dalle speculazioni di chi cavalca il popolo contro gli interessi del popolo. 


Le orecchie non sono fischiate solo all’infuriato ex premier, che pure nel quinquennio in cui lanciava la protesta anticorruzione (2013-2018) strizzava l’occhio ai militari ed era ricambiato, son fischiate anche ai vertici della Lega Musulmana-Nawaz. Tornata in auge con l’attuale primo ministro, Shahbaz, fratello di uno dei premier pakistani più invischiati nell’affarismo tangentizio (Nawaz Sharif), anche questo partito viveva attriti con la lobby militare. La politica tira sempre acqua al proprio mulino, dice di tutto e il suo contrario, e quando i cambi governativi sono repentini c’è memoria solo di posizioni recenti, le altre vengono riposte come se non fossero mai state affermate. In questa latitudine l’attuale turbinìo politico, ai vertici e in periferia, è particolarmente caotico così si guarda solo al presente. Oggi chi tesse le lodi dei militari è il clan Sharif. La prossima tappa del tour di Khan approda a Lahore, capitale del Punjab pakistano, governata da Hamza Sharif, figlio del premier nazionale. E’ la prima volta nella storia politica pakistana, pur intrisa di familismo, che si verifica una circostanza simile, fra l’altro investendo una regione basilare per gli equilibri interni. Dunque c’è attesa per ondate di retorica e furore. Se le piazze e gli schieramenti dovessero degenerare, non si escludono soluzioni di forza del militari. Eppure la lobby, come abbiamo visto carezzata e corteggiata da ogni schieramento (nella partita, seppure in una fase calante, c’è il clan Bhutto col suo Partito Popolare), sembra spaccata anch’essa. Fonti della perfida Inter-Service Intelligence rivelano che gli ufficiali di basso rango propendono per Khan, mentre la vecchia guardia comincia a temerne il populismo e guarda ai partiti tradizionali come a un passato più tranquillizzante.  Anche perché aperto a colpi di mano espliciti come ai tempi di Zia-ul-Haq e Musharraf.  

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