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domenica 23 gennaio 2022

Insulti a Erdoğan, arresto e rischio galera per una giornalista

Dice un proverbio: ”Un toro non diventa re entrando nel palazzo, è il palazzo che diventa fienile”. E ancora: “Una testa coronata diventa più saggia, vediamo che non è vero”. Tagliente saggezza dei motti che se si trasformano in metafore, come il portavoce del presidente turco Erdoğan sta insinuando per accusare la nota giornalista Sedef Kabaș, possono produrre danni gravi: da uno a quattro anni di reclusione. Per ora la commentatrice televisiva ha negato ogni riferimento al Capo dello Stato, ma Fahrettin Altun, sua voce all’esterno del Palazzo, è tranciante: “Una sedicente giornalista insulta clamorosamente il presidente su un canale televisivo col solo scopo di diffondere odio”. La cosa si fa seria e le registrazioni di Tele1 vanno in mano alla magistratura. Kabaș non è proprio l’ultima arrivata in fatto d’informazione e conduzione televisiva. Dopo un primo periodo alla Cnn International, dalla fine degli anni Novanta ha condotto programmi e interviste per diverse tv turche. Quindi ha intrapreso uno studio e un dottorato presso l’Università di Marmara su un tema delicato: la qualità delle interviste nel contesto giornalistico della stampa turca, mettendo in discussione quella che definisce “l’élite del discorso” nell’orientare le percezioni del pubblico. Nei suoi programmi in video ha dialogato con intellettuali e letterati. Poi s’è infilata nello “scandalo corruttivo del dicembre 2013”, occupandosi ovviamente dei risvolto socio-politici. Si trattò d’indagini su: abuso d’ufficio, corruzione, concussione, tangenti, contrabbando in cui venenro coinvolti ministri (Interno, Economia, Ambiente) del governo Erdoğan, a quell’epoca premier. Indagato anche suo figlio Bilal. La dimissione dai rispettivi dicasteri e un rimpasto governativo attenuarono l’inchiesta giudiziaria. Successivamente il partito di maggioranza Akp accusò i magistrati e i poliziotti coinvolti nello scavo documentario e negli interrogatori, di agire con intento politico, quali aderenti al movimento gülenista, ex alleato con cui Erdoğan era entrato in durissimo conflitto. L’operato giornalistico su quella vicenda di scontri intestini rimasta in buona parte oscura, non giovò alla Kabaș, evidentemente bollata, dal circolo del premier poi presidente, come una voce sgradita. Nel 2019, in un clima autoritario ben più pesante di quello del quinquennio precedente, la conduttrice incappò in una condanna di circa un anno proprio per “insulti al presidente”, pena sospesa e rinviata. Ora, a seguito di quel precedente, la giornalista è agli arresti e rischia fino a  quattro anni di reclusione. La direzione di Tele1 con Merdan Yanardag ha criticato l’iniziativa repressiva: “Questa posizione è un tentativo d’intimidire giornalisti, media e società”.  Reprimende per boutade anche meno esplicite hanno precedenti: nel 2014 l’ex miss Turchia, Merve Buyuksarac, aveva condiviso sul suo profilo social un post satirico sull’inno nazionale che, per le denunce da parte di alcuni cittadini, conduceva chi aveva fatto girare il post davanti ai pubblici ministeri. La modella venne condannata a quattordici mesi di galera, il suo avvocato la difese sostenendo che la parodia non le appartenesse, non era stata elaborata da lei. La pena venne sospesa a condizione che non ci fossero recidive nei cinque anni successivi. Da quella fase la stretta autoritaria è cresciuta: si sono registrate oltre 160.000 indagini per presunti insulti all’autorità statale nella persona del presidente. Se da una parte 35.500 sono state archiviate, quasi 13.000 hanno prodotto arresti.

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