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mercoledì 29 dicembre 2021

India, lavacri e comunalismo per celare la crisi

Haridwar, città indiana dell’Uttarkhand neanche tanto popolosa, 230.000 abitanti, è un luogo di grande spiritualità hindu con templi e un fervore religioso nei ghat, le scalinate in discesa verso l’acqua, illuminate di candele e pieni delle voci gioiose d’intere famiglie riunite in preghiera. Le gigantesche statue dedicate a Shiva, di cui la città è costellata, decorano la tappa finale del pellegrinaggio Kumbh Mela che conduce annualmente per il bagno rituale milioni di fedeli hindu sulle rive del Gange. Fin qui l’hinduismo dei riti e delle preghiere che è sempre più pervaso, insidiato, strumentalizzato da chi della fede vuol fare l’arma del proprio estremismo politico. Proprio a Haridwar, dal 17 al 19 dicembre scorso, s’è svolto un incontro chiamato Dharma Sansad, considerato un Parlamento religioso. Dharma in hindi denota l’ordine morale, in senso lato la virtù, eppure i dialoghi inanellati da taluni personaggi lì riuniti e accomunati da un’oratoria faziosa, risultano nient’affatto virtuosi. Sacerdoti hindu insigniti del ruolo di maestro hanno proposto, come usano fare da anni, concetti violenti che avvantaggiano l’ala oltranzista del partito di governo, quella che fa della dottrina dell’hindutva un modello di razzismo e sopraffazione. Al meeting partecipavano esponenti del Bharatiya Janata Party pronti a chiamare ‘bastardi’ i musulmani ed esaltare la memoria di Nathuram Godse, l’assassino del Mahatma Gandhi. Insomma un ambientino che definire fanatico è fargli un complimento. 

 

Ovviamente il premier Modi non si cura di questi particolari, visto che la svolta ipernazionalista assunta dal partito gli consegna un potere crescente e indiscusso. I suoi capibastone in tunica arancione si chiamano: Yati Narsinghan, ordinato di recente capo sacerdote del tempio di Dasna Devi a Ghaziabad nell'Uttar Pradesh. Probodhananda Giri, assertore d’una minaccia per l’hindutva che s’aggira anche nei templi della propria religione. Difenderne i princìpi fascistoidi è indispensabile, e per farlo ordina alle coppie di fedeli di procreare almeno otto figli, così da sopraffare demograficamente musulmani e cristiani. Mentre Yogi Adityanath, da quando è premier dell’Uttar Pradesh ha moderato i toni e propende per semplici ‘sputi in faccia agli islamici’. Commentatori politici hanno messo in relazione la teorizzazione della denigrazione delle minoranze religiose ripetutasi a Haridwar con le violenze rivolte ultimamente ai cristiani (assalti a luoghi di culto e pestaggi a sacerdoti) sebbene l’anno rosso sangue sia stato il 2020 con decine di vittime islamiche, colpite anche nei luoghi di lavoro e nelle proprie abitazioni con incendi e devastazioni. Chi studia il retroterra dell’ideologia hindutva e alcuni dei suoi gruppi armati (Rashtriya Swayamsevak Sangh, Viswa Hindu Parishad, Hindu Jagram Manch) sostiene come il piano per polarizzare la società indiana abbia intrapreso una strada senza ritorno. Fra l’altro con l’impotenza dei maggiori partiti del Paese: Partito del Congresso e Bahujan Samai Party di tendenze socialdemocratica e socialista, che dovrebbero puntare il dito sulla quantità d’inadempienze governative riguardo a prevenzione dalla pandemia, salute e disoccupazione. 

 

Ma le tematiche religiose soppiantano i buchi neri sociali, si discute su templi da costruire, proselitismo anti hindu, pericoli jihadisti, mentre anche l’unica lotta che ha piegato il governo, quella dei contadini, deve comunque fare i conti con quello che tante categorie di lavoratori, in maggioranza hindu, hanno sotto gli occhi. Inflazione al 15%, che colpisce ancor più i poveri, rincaro dei carburanti fra il 40 e il 50%. Questo nonostante una ripresa che dall’estate a novembre ha portato i valori del Pil a crescere fino all’8.4%. Eppure si tratta d’una ripresa fittizia, che può fermarsi, anzi in certi settori produttivi la disoccupazione aumenta (+9%) e i consumi generali decrescono del 7.7%. Gli economisti evidenziano come il colpo maggiore l’abbiano subìto micro e medie imprese dove, peraltro, lavorano (è più corretto dire lavoravano) 110 milioni di persone. Un settore che finora ha costituito un terzo del Pil nazionale, copre oltre il 90% della merce d’esportazione e dà da mangiare a mezzo miliardo d’indiani. Non sostenerne la crisi può produrre non solo un grave colpo all’orgogliosa avanzata economica della nazione, ma squilibri sociali di portata epocale. Per ora, oltre Delhi oltre a registrare un mercato competitivo rimpicciolito, consta d’uno spostamento di gente che ha perso il lavoro urbano nelle campagne. Ma anche lì la prospettiva non è rosea. Studiosi locali dell’Istituto economico dello sviluppo sostengono che il Paese avrebbe bisogno di riforme e piani per una competizione globale, maggior impulso tecnico e digitalizzazione. Ma in realtà manca un ceto dirigente preparato e adeguato. Modi ha cooptato militanti politici e religiosi piazzandoli in ruoli amministrativi di cui non sanno nulla. Loro se la prendono con le minoranze religiose e additando capri espiatori,  pensando così di svoltare la notte della pandemia e della nullità di programmazione.

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