Il Sultano sente odore di Gazi Park perciò lancia un monito
che ha il sapore d’una condanna. Oggetto la protesta studentesca che da un mese
monta nell’università Bogazici, terza
accademia di Istanbul, contro la nomina d’un rettore (Melih Bulu) fatto calare
dall’alto e vicino al partito di governo, l’Akp. Gli universitari hanno alzato
la voce, hanno manifestato, e immeditamente si son visti inseguiti dai caschi
bianchi della polizia, colpiti da manganelli e lacrimogeni. Ora il clima si fa
pesante: il presidente in persona si pronuncia e lancia l’anatema: chi prosegue
nella contestazione verrà accusato di sovversione e terrorismo. Per riaprire un
conflitto interno dopo aver catalizzato la nazione, a seguito del tentato golpe
del 2016, nel cercare capri espiatori fra i traditori gülenisti con tanto di
mega purghe nelle forze dell’ordine, forze armate, pubblica amministrazione,
magistratura, il presidente turco deve avere un funesto presagio. Aveva
compattato un’ampia maggioranza a difesa della patria turca, contro ogni nemico
e ne ha cercati fuori dai confini, su varie aree d’interesse in Medio Oriente,
nel Mediterraneo di Levante, in Libia e anche in terra caucasica. Tornare ad
arare il terreno di casa con un intervento repressivo, peraltro rischioso per
quella tranquillità interna inseguita per il centenario nazionale del 2023, è l’ennesimo
azzardo con cui vive la politica.
Ma l’ossessione della gioventù ribelle della metropoli meno
turca della Turchia, dove peraltro il suo partito ha perso le elezioni
amministrative nel 2019, lo perseguita. “Faremo qualsiasi cosa per prevenire un
montare delle proteste. Non permetteremo di vivere un nuovo Gezi”. Così a
seguito di cortei improvvisati a Istanbul e Ankara, dispersi a suon di cariche
e gas urticanti, si registrano già 300 arresti. Al rifiuto dell’imposizione del
rettore l’insubordinazione studentesca aggiunge questioni di costume. Gli
esponenti del movimento LGBTQ hanno appeso presso gli uffici universitari un
poster d’un luogo sacro dell’Islam col proprio simbolo. Dunque lo scontro si
sposta su un terreno sul quale il presidente può giocare l’arma identitaria
della Turchia che insegue la grandezza imperiale attraverso la fede islamica. E
nel Paese già si scatenano commenti e marchi contro i “devianti” vergogna della
popolazione. Mentre si registra una nota
del portavoce del Departimento di Stato americano, preoccupato per la
repressione anti studentesca e sconcertato per la retorica di condanna sulle
tendenze sessuali di cittadini. E se dall’opposizione repubblicana si chiedono
le dimissioni di Bulu, quest’ultimo dichiara di non aver mai pensato a un
simile passo sin dall’inizio delle contestazioni.
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