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giovedì 14 gennaio 2021

I conti neri dell’Egitto

Fa i conti con l’ennesimo anno vissuto repressivamente l’Arabic Network Human Rights Information divulgando un rapporto che raccoglie i numeri dello strazio egiziano. Si premette che nella stagione del Sars CoV2 nessuna scarcerazione motivata dal rischio pandemico è stata messa in atto, al più ci sono stati trasferimenti fra le prigioni propriamente dette e lo stazionamento nelle celle dei commissariati. Un nuovo tipo d’abuso è quello d’inserire gli indiziati in ulteriori inchieste che possono determinare successive pendenze in un incastro senza fine. Lo stato d’emergenza, protratto dal 2017, diventa il riferimento per ogni sorta d’addebito rivolto prevalentemente ad avvocati dei diritti, giornalisti, scrittori, opinionisti, intellettuali. Ma le accuse, pesantissime, possono coinvolgere ogni egiziano in patria e all’estero, come insegna il caso del dottorando Patrick Zaki. Nel 2020 si sono contate 364 manifestazioni. Lamentavano la sospensione dei diritti civili oppure riguardavano rivendicazioni lavorative, come quelle riprese dallo scorso novembre in varie aree industriali, alcune anche ai margini della capitale. In genere le contestazioni hanno ricevuto la ‘visita’ delle forze di sicurezza con le conseguenze del caso: battiture con sfollagente e fermi spesso tramutati in arresto. Il mese più caldo è risultato settembre con 68 episodi, di cui 50 repressi e quattro risolti con una mediazione. Utile sapere come la ‘cura Sisi’, che elargisce galera a gogò, stia dando i suoi frutti. 
 
Da quando il generale golpista ha preso il potere il numero delle manifestazioni è in caduta libera: erano 1515 nel 2014, 766 l’anno seguente, 1318 nel 2016, il periodo citato dei grandi scioperi nell’area industriale. Scendono a 779 nel 2017, quindi le norme che riportano tutto a “terrorismo” fanno il resto: 485 nel 2018, 491 nel 2019, 364 nel 2020. I dati statistici dell’ANHRI sono meticolosi e ricordano che fra le manifestazioni dell’anno appena concluso ce ne sono 11 favorevoli al regime. Dunque, le proteste scendono a 353. Fra esse 49 non sono classificate come politiche, ma 111 lo sono state traendo ispirazione e organizzazione da gruppi d’opposizione come la Fratellanza Musulmana e l’Alleanza Nazionale a Sostegno della Legittimità, attive nonostante i reiterati tentativi governativi di ridurle all’impotenza. Caparbiamente richiedevano: la rimozione di Sisi, reo del colpo di stato del luglio 2013, il rilascio di migliaia di attivisti detenuti, l’abolizione del fittizio ‘stato d’emergenza’. Ben 173 sono le azioni animate da questioni sindacali e sociali, sia contro una crescente disoccupazione, sia per richieste di aumenti salariali.  Dei 78 processi in corso, solo 5 sono esaminati dalle Corti militari, notoriamente più severe. Però l’emergenza sicurezza ha irrigidito sensibilmente anche le Corti civili. Le 73 azioni processuali trattate da quest’ultime hanno prevalentemente risvolti politici: 56 i casi esaminati che riguardano i citati partiti d’opposizione. 
 
In particolare i militanti della Fratellanza Musulmana devono rispondere ad accuse che concernono le proteste anti Mubarak, che proprio nel febbraio dell’anno scorso è passato a miglior vita, dopo essere sfuggito a una condanna a morte e al carcere. Comunque nei cinque processi intentati dalle Corti militari sono coinvolti ben 1132 civili. Sembrerebbe un controsenso, nell’Egitto iper militarizzato di Sisi non lo è. Anzi questi tribunali vantano una diminuzione di casi, ne contavano 1832 nel 2019, 1869 nel 2017, oltre 3000 nel 2016. Passi in avanti? Non proprio, visto che il regime sta proponendo le Corti civili per sentenze draconiane. Se le assoluzioni risultano ridotte 22 in totale, ma 13 anche per gli attivisti politici, le sentenze capitali si tengono “basse”. In tutto ce ne sono state 13, di cui solo una comminata da Corti militari. Hanno prodotto rispettivamente 68 e 10 impiccagioni. Si attribuivano agli imputati attentati e assalti a stazioni di polizia. E queste non rientrano nei casi di terrorismo puro. Per il quale c’è un capitolo a sé. Le operazioni di controterrorismo, 18, superano quelle classificate come terroristiche, 14, tutte concentrate nel nord del Sinai. Hanno causato la morte di 26 militari, 9 civili, 5 terroristi. Più svariati feriti. Anche qui i numeri sono in sensibile flessione: nel 2015 se ne contavano 400, l’anno successivo 259.

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