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domenica 14 giugno 2020

India, pandemia di Covid-19 e fame fra l’esasperazione generale


L’India vive un lockdown lungo finora novanta giorni nei suoi trentadue Stati. Certo in tantissimi luoghi, e non necessariamente nelle megalopoli, confinamento non fa il paio col distanziamento, sia perché risulta impossibile in tanti condomini di Delhi e di Mumbai come pure nelle precarie baraccopoli di periferie urbane e di villaggi rurali. In tal modo il Paese si barcamena fra un’epidemia che non registra regressi e il bisogno primario alimentare che travalica anche la necessità di lavoro. Ovviamente per i più le due ultime questioni s’inseguono: chi non può lavorare non mangia e non riesce a sostenere famiglie assai numerose. Gli iniziali 23 miliardi di dollari investiti dal governo per far fronte alla pandemia della povertà, potevano valere per il primo mese di chiusura non per il secondo e il terzo. Perciò l’India fa i conti col duplice fronte infettivo e sotto occupazionale che mette in ginocchio decine di milioni di persone e preoccupa l’establishment. Al vertice della crisi, un vertice amplissimo, si collocano gli ex esecutori dei tanti impieghi precari che si svolgono prevalentemente nel cuore delle metropoli - micro commerci e micro impieghi, dai trasportatori di cibo ai conducenti dei rickshaw - ma anche i lavori in nero dell’edilizia, dell’agricoltura, in gran parte pendolari fra i distretti più popolosi e bisognosi (Uttar Pradesh e Bihar) e il resto della nazione.
La fuga verso i villaggi d’origine svolta soprattutto ad aprile, quando dopo un mese di blocco e di distribuzione di cibo ai poveri, non si vedeva alcuna soluzione all’orizzonte, hanno prodotto tragici incidenti. Avvenuti durante le trasmigrazioni interne, compiute a piedi da milioni di cittadini per decine e decine di chilometri, vista l’assenza di trasporti pubblici. C’è chi è morto per via, cercando una via di salvezza. Ucciso da fame e sete, come in un ipotetico deserto, oppure tranciato sulle rotaie da treni che non dovevano passare e a un tratto si materializzavano. Caos e disorganizzazione, con l’aggiunta di chi ha soffiato sul fuoco del fondamentalismo politico cercando capri espiatori fra etnìe e confessioni, nonostante il tragico momento internazionale. Solo da poco il governo di Narendra Modi, pur ribadendo il proseguimento delle chiusure, ha ristabilito trasporti su gomma e ferro rivolti esclusivamente agli spostamenti interni per i pendolari del lavoro, rimasti senza lavoro. Una decisione estremamente tardiva che sta creando nuove tensioni nelle regioni raggiunti da questi cittadini che se non hanno in esse parenti assai stretti ai quali unirsi, vengono osteggiati dai locali timorosi d’essere infettati dal coronavirus dalla massa che giunge da metropoli dove i focolai pandemici sono accesissimi. I numeri, che la Comunità internazionale considera comunque parziali e sottostimati, pongono l’India al quarto posto fra le nazioni colpite nel mondo. Trecentoventunomila infettati e novemiladuecento decessi.

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