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venerdì 3 gennaio 2020

Trump fa assassinare Soleimani


Se la follia può orientare la geopolitica la scelta comune di Trump e del Pentagono di uccidere a Baghdad il generale Qassem Soleimani, capo della Forza Al Quds (i reparti d’eccellenza dell’esercito iraniano) e l’uomo di fatto più potente della nazione dopo la Guida Suprema Ali Khamenei, è un passo che aiuta nuove escalation di guerra. Ampliando i conflitti locali già in corso, quelli che da tempo divorano vite inermi in Siria, Yemen e in Iraq. E quelli che si preparano su scenari devastati, come in Libia, dove le truppe di Ankara invaderanno non uno Stato sovrano, bensì una terra diventata di nessuno, ovvero divisa fra uno statista-fantoccio (Fayezal Serraj) e un signore della guerra (Khalifa Haftar) con il benestare della comunità internazionale. Così Trump avrebbe fatto uccidere un uomo-simbolo di una nazione nemica per lanciare una volata lunga sulla Casa Bianca, che l’impeachement subìto potrebbe ostacolare, perlomeno nell’ombra lanciata sul suo ruolo politico. Da baro incallito Trump cerca un recupero usando l’arma che unisce il Paese delle armi e incendia la prateria mediorientale. Ma stavolta non è solo. A decidere che il drone statunitense alzasse la posta con quest’omicidio - definito dal ministro degli Esteri di Teheran “un atto di terrorismo internazionale” che, aggiungono i connazionali, non resterà impunito - ci sono i generali del Pentagono.
E allora nel mondo geopolitico che verrà, di cui si discute alla luce di quanto accaduto nel primo Ventennio, c’è da riconsiderare quanto si è avuto davanti agli occhi negli ultimi tempi. Gli Stati Uniti non sgombrano le occupazioni di vari angoli del mondo. Si celano dietro conflitti combattuti da alleati, schierano mercenari al posto di marines, agiscono solo dal cielo senza sporcarsi gli scarponi con fango e sangue proprio, comunque seminano ingerenza, distruzione, morte. Le recenti differenze rispetto al secolo scorso è che su alcuni scenari non sono più soli. S’è fatta sotto la Russia putiniana, e nel caos mediorientale c’è lo scontro fra le potenze regionali. L’Iran è fra queste, nella lotta non solo a distanza con l’Arabia Saudita, ma la vera protagonista, sempre più inquietante e invadente, non solo metaforicamente, è la Turchia. Che Erdoğan ha plasmato secondo suoi voleri e che a maggioranza continua a essergli fedele. Tornando allo scenario destabilizzante creato dall’agguato mortale a Soleimani, che ha eliminato anche il comandante delle truppe irachene Abu Mahdi al-Muhandis, vicino alla struttura militare iraniana, accanto ai tre giorni di lutto nazionale occorrerà capire se quest’omicidio produrrà nel Paese quel compattamento che gli iraniani riscontrano quando sono colpiti dall’esterno.
Soleimani era un capo militare, ma con lui e dietro di lui c’è il partito dei Pasdaran che talune piazze, non necessariamente foraggiate dalla Cia, contestano. Di sicuro scatteranno le dure rappresaglie che Khamenei ha già annunciato. L’eco militare di vendetta è nelle parole e nei piani del comandante delle Guardie della Rivoluzione Mohsen Rezaei, che rivendica per l’amico Soleimani ucciso l’alto profilo di martire della Rivoluzione. Dunque il futuro si ripropone come il passato. Usa e Iran si rimpalleranno il ruolo di Grande Satana, accusandosi di terrorismo e praticando operazioni militari rivolte anche a figure-simbolo, come l’assassinio di Soleimani dimostra. Interessate tutte le polveriere in fiamme e quelle già esplose, con Israele prigioniero d’uno sfrontato uomo della guerra qual è Netanyahu. Paese nuovamente nel mirino e pronto ai  raid, che verso i più deboli, come i palestinesi di Gaza, non ha mai smesso.

 

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