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venerdì 6 settembre 2019

Morsi junior, il buio e l’oblìo


Di notte. Al buio. Una bara circondata da poliziotti e mukhabarat che vigilano perché nessuno, proprio nessuno accompagni un giovane dal cognome ingombrante. Qualcuno invece c’è, pur tenuto a distanza e infila due scatti che girano sul web. Mostrano l’inumazione tenuta segreta di Abdullah Morsi, il figlio dell’ex presidente egiziano, morto come il padre per infarto, ma a venticinque anni. La notizia del decesso data dalle agenzie, segnalata da Al Jazeera e commentata soprattutto sui social - con grosse limitazioni nel Paese arabo dove la paura prima della stessa censura ha frenato tanti dal manifestare pensieri - ha anche visto parecchi sollevare dubbi su questa morte giunta improvvisamente a una verde età. In un ragazzo che, a detta dei familiari, non manifestava patologie cardiocircolatorie. La polizia non sembra aver predisposto indagini di nessun genere. Invece s’è organizzata per agli stessi parenti della vittima, di accompagnarla per l’ultimo saluto. Il rito funebre s’è svolto in piena notte e la mano pietosa e anonima che ha scattato quelle immagini, l’ha fatto a suo rischio, celandosi dietro altre persone. Se qualche funzionario avrà visto, ha lasciato correre, poiché l’intento governativo era stato raggiunto. Come per tante vicende egiziane la finalità di regime è volta a nascondere e cancellare, a realizzare quell’oblìo che vuol far dimenticare morti ammazzati e torture seriali, arresti di massa e persecuzioni personali.

Va avanti così da sei anni e la comunità internazionale non mostra imbarazzi. Ma dall’insinuarsi indebitamente nei cosiddetti “affari interni” d’una nazione, alla scelta d’ignorare la linea repressiva e la ripetuta violazione dei diritti umani che i militari del Cairo perseguono, ce ne passa. Se nessun Paese proferisce parola su quanto accade in quella società, e non lo fa neppure l’Italia il cui concittadino Giulio Regeni è finito martoriato con palesi e gravissime responsabilità dell’establishment al potere, la questione è preoccupante. Invece il nostro mondo politico è tutto infoiato dagli affari che si possono avviare e concludere con quel Paese governato da assassini. C’è una chiamata diretta che coinvolge due figure del neo formato governo: il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio. Entrambi erano presenti nel precedente governo, il primo col medesimo incarico, il secondo allora come ministro dello Sviluppo Economico. Insieme all’intero Esecutivo uscente non hanno certo brillato per sostegno politico al lavoro giudiziario dei procuratori Pignatone e Colaiocco che indagavano sull’omicidio del ricercatore friulano. Da Conte e Di Maio, e da tutto un governo che afferma di nascere nel segno d’una “discontinuità”, i cittadini che domandano giustizia sul caso Regeni s’aspettano passi concreti: rottura diplomatica ed economica con un regime che sparge sangue innocente. E ostacola che un giovane infartuato che si chiama Morsi possa avere l’estremo saluto di parenti e amici.  

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