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giovedì 20 giugno 2019

Hormuz infuocato, giù un drone statunitense


Sempre caldissima la situazione nel braccio di mare e di terra a ridosso dello Stretto di Hormuz da dove - dopo l’attacco del 13 giugno a due petroliere prodotto da mine poste in acqua e per il quale la Casa Bianca ha accusato direttamente la struttura militare iraniana dei Pasdaran - stamane giunge la notizia dell’abbattimento d’un drone statunitense. Precisamente volava sopra il distretto di Kouhmobarak, sulle coste meridionali iraniane prospicienti in braccio di mare incriminato. Come riporta l’agenzia iraniana Irna l’aeromobile era un modello RQ-4 Global Hawk e transitava sullo spazio aero interno. Invece una voce statunitense raccolta dalla Reuters smentisce su tutti i fronti: lo spazio aereo sarebbe stato internazionale e il drone un US Navy MQ-4C Triton. Al di là di dettagli e affermazioni contrapposte la situazione in quell’area geografica, trafficatissima nel trasporto energetico e non solo, sta diventando un caso di tensione geopolitica non di poco conto che il presidente Trump, impegnato nel lanciare la lunga volata elettorale per una sua amministrazione bis, potrebbe usare per i prossimi mesi. Così i contrasti fra Washington e Teheran aggiungono un ennesimo elemento, rinfocolati come sono già da mesi dalle mosse del primo cittadino d’America.
Il suo rilancio dell’embargo alla Repubblica islamica iraniana, cui quest’ultima rispondeva per le rime sentendosi svincolata dal famoso accordo denominato cinque più uno (dal numero delle nazioni firmatarie) e ripristinando l’arricchimento dell’uranio, rappresentano fattori di ostilità che riaccendono i già tesissimi rapporti fra i due Paesi. Sull’episodio del drone un comunicato dell’Iran Supreme National Security ribadisce che la difesa dello spazio aereo rappresenta una linea rossa che non può essere violata per qualsiasi ragione e riceverà adeguate risposte. Quel sorvolo può risultare voluto e provocatorio, e chi conteggia colpi e contraccolpi lo mette in relazione al missile lanciato ieri in terra saudita contro un impianto di desalinizzazione. Gli autori sarebbero i miliziani dalla minoranza Houthi, la fazione sciita che comunque raccoglie il 44% della popolazione e che da quattro anni anima la guerra civile in Yemen col sostegno iraniano. Sull’altro fronte è noto non solo l’impegno diretto della monarchia di Riyadh nella repressione dei rivoltosi, ma un recente dispiegamento nell’area di truppe statunitensi in appoggio ai lealisti di Sana’a.  Accanto a un migliaio di marines, le portaerei della Quinta flotta di stanza nel Bahrein hanno scaricato un buon numero di batterie di missili Patriot. Il motivo è antico, come gli argomenti della Guerra Fredda e la ‘Dottrina Eisenhower “la difesa degli interessi americani nella regione”.

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