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mercoledì 24 ottobre 2018

Salah Khashoggi nelle mani del carnefice


E’ nello sguardo perso prima ancora che nella mano tesa al carnefice il dramma di certa gioventù saudita. La foto diffusa da un’agenzia di regime che mostra il figlio del giornalista trucidato all’interno di una sede diplomatica del regno a Istanbul doveva servire ai Saud, e a Mohammad bin Salman, per risalire un po’ la china d’una credibilità perduta per sempre. La scena è comunque pelosa, non diversa da quella che abbiamo dovuto sopportare nei funerali di Stato ai nostri delitti di mafia. Quando le Autorità Istituzionali rivolgevano alle vittime le proprie condoglianze. Egualmente il principe ha convocato a corte i figli dell’opinionista odiato e liquidato, appunto per manifestare il suo cordoglio. Orfani e cittadini nel regno i due giovani non hanno potuto esimersi dal trovarsi al cospetto del manipolatore e probabile mandante dell’assassinio. Lui porgeva loro la mano, quelli la sfioravano increduli e atterriti. Se le immagini parlano più di cento parole, lo scatto, l’inquadratura che la regìa politica, oltre che mediatico-propagandista dei Saud ha voluto diffondere rivela il clima d’ipocrisia e terrore presente nella terra dei petrodollari, che è anche la Terrasanta dell’Islam. Quella monarchia padrona della nazione dove sorgono alcuni fondamentali luoghi sacri della fede musulmana, che fa della religione un marchio funzionale al suo ruolo di Stato guida nel mondo arabo, pratica il più bieco cinismo nel relazionarsi ai sudditi e al mondo. Non è l’unica leadership a farlo, è vero. Ma gli ultimi eventi - su cui pesa tuttora l’incognita delle future reazioni internazionali, pur condizionata dagli interessi incrociati che alleati, tutori, avversari di questo Paese possono barattare per fare uscire dalla palude in cui s’è infilato il giovane factotum dei Saud - ne svelano una totale oscenità. Resta l’angoscia sul suo potere di simulazione e di condizionamento: quel giovane che dovrebbe e forse vorrebbe gridare lo sdegno e l’odio verso un carnefice gli porge, pur mollemente, la mano. In un gesto di normalità, dove oltre a una subordinazione al potente criminale, appare la mancanza di prospettive di giustizia e di vita.

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