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mercoledì 17 ottobre 2018

Caso Khashoggi, la mala-geopolitica


Sulla vita, quasi sicuramente perduta, e sulla pelle dell’opinionista Jamal Khashoggi la geopolitica sta giocando una partita complessa nello spigoloso triangolo di alleanze volute e di comodo fra Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia. Il presunto delitto, diventato caso internazionale, compiuto in terra turca per mano d’un manipolo di agenti vicini al principe bin Salman, sorvegliati in ogni modo da colleghi turchi che dispongono di prove scottanti sull’efferatezza e il cinismo del gesto, mettono al cospetto di Trump, Salman jr ed Erdoğan il caso esplosivo. Il presidente americano, dopo aver tuonato contro l’inavveduto rampollo della petromonarchia, dà pieni poteri di rappresentarlo al Segretario di Stato Pompeo e lui usa un linguaggio molto più che diplomatico. Usa i toni untuosi della politica internazionale che trattano ogni argomento, anche il più scabroso coi guanti per poterlo maneggiare anche quando, come in questo caso, gronda sangue. Così il faccia a faccia fra Pompeo-bin Salman è risultato stucchevole come i paramenti del salotto che l’ha ospitato, una finzione, un gioco delle parti. Mbs ha ribadito di non saper nulla e d’indagare a tuttotondo, come se ripetesse il copione recitato ancor’oggi da quell’altro satrapo dell’area che risponde al nome di al -Sisi. Chi fa rapire, torturare, assassinare afferma di non sapere e d’impegnarsi a chiarire.
Ma su Khashoggi non trascorreranno mesi e anni per comprendere chi siano mandante e assassini. Parecchio è chiaro, i secondi sono quasi scoperti. A fare le pulci a ciò che la politica prova a celare, seppure fra ricatti ricorrenti e contropartite, è la stampa internazionale, anche quella blasonata che non si prostra al potere. Così il New York Times rompe le uova diplomatiche portate da Mike Pompeo a Riyadh. La testata newyorkese pubblica una serie d’immagini che mostrano un uomo, Maher Abdulaziz Mutreb, già ‘funzionario’ a Londra oltre un decennio fa e probabile guardia del corpo del principe bin Salman. Certamente nei mesi scorsi sua ombra in ogni viaggio, specie occidentale (Madrid, Parigi, Houston, Boston). Mutreb appare in ogni foto scattata alla delegazione saudita, a debita distanza ma con lo sguardo puntato sulla keffia reale. E nella ricerca del pool giornalistico statunitense non è il solo. C’è almeno un altro fedelissimo agente della guardia personale di Mbs fra la quindicina di appartenenti all’Intelligence di Riyadh sbarcati e volati via da Istanbul nella giornata del 2 ottobre su jet privati. In più gli zelanti colleghi turchi, che hanno registrato voci e grida all’interno del consolato dalle spade incrociate, hanno diffuso la nota della presenza anche del dottor Muhammad al-Tubaigy, medico forense accreditato presso il ministero degli Interni saudita.
Professionista noto per le sue pubblicazioni su autopsie mobili. Sarebbe stato lui a praticare la dissezione del cadavere del giornalista in pochi minuti, da sette a dieci. Eppure in questo fosco scenario fosco la geopolitica che definisce ‘carognesco’ il delitto sta già cancellando le responsabilità del mandante, senza inchiodarne i referenti pescati da inchieste giornalistiche e dall’azione del Mıt. Gli Stati Uniti non rischieranno di disfarsi del potente seppure invadente principe che per capacità ciniche e autoritarie risulta una pedina utile nella regione, come utili sono gli al Sisi, gli Haftar, anche un Asad disponibile e orientato non solo verso Mosca. Erdoğan chiuderà gli occhi su un delitto rivolto a una categoria che certamente non ama, soprattutto se verrà aiutato dai petrodollari a superare le difficoltà finanziarie del Paese che da mesi si riverberano sui vertici politici. Che questa sia la strada lo dimostra un’altra sparizione, senza delitto, stavolta del console saudita al-Otaibi, la cui abitazione è stata perquisita dopo che la sua voce era riconoscibile nella registrazione-chock con torture (col taglio delle dita) inferte a Jamal Khashoggi, prima del definitivo assassinio e dello smembramento del suo corpo. Otaibi già da due giorni è rientrato a Riyadh. Dal 2 ottobre scorso  nessuno l’aveva fermato.

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