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lunedì 6 agosto 2018

Tensioni iraniane, non solo moneta


Rimostranze, per l’ulteriore svalutazione del rial, la caduta del potere d’acquisto dei salari, la carenza di scorte d’acqua. Ripetute periodicamente. E slogan contro i leader religiosi e le loro politiche antipopolari. In Iran prosegue una fibrillazione con avvenimenti condivisi sui social, seppure taluni collegamenti diventano sempre più difficoltosi. Nel fine settimana si sono registrati agitazioni in città dalle meraviglie artistiche (Isfahan, Shiraz) lanciate da un triennio nel circuito turistico internazionale e piene di visitatori; più Karaj e Arak,  rispettivamente a 40 e 180 km da Teheran. Minori e limitate le proteste nella capitale. Uno slogan ripetuto, suonava: “Morte al carovita”. Mentre lo sciopero degli autotrasportatori, che rivendicano aumenti salariali, ha privato del rifornimento di carburante alcune zone del nord, compresa l’area di Teheran. Una vera beffa per un Paese ricco di idrocarburi. La moneta locale è nella bufera da anni, ma nell’ultimo ha perso addirittura l’80% del valore, indebolendosi anche per il rilancio delle sanzioni finanziarie imposte da Trump alla politica statunitense.
Il presidente Rohani è sotto attacco non solo degli oppositori, ma degli stessi elettori delle classi medie che l’avevano rieletto. A costoro l’ayatollah diplomatico, che ricuce la politica nazionale da anni polarizzata dallo scontro fra riformisti e conservatori, non appare più credibile. L’insoddisfazione resta, la disillusione cresce e la mancata realizzazione delle promesse normalizzatrici avanzate nel 2013 e rilanciate con la rielezione del 2017 possono portare solo guai al presidente. Certo, le proteste dello scorso gennaio erano variegate. A soffiare sul malcontento, soprattutto nelle roccaforti tradizionaliste come Mashhad, è stata la fazione di Raisi, il contendente diretto e sconfitto. Da quelle agitazioni i chierici conservatori e il partito dei Pasdaran cercavano sostegno per incrinare il rapporto di forza che il presidente riconfermato aveva stabilito nell’urna. Però i giovani scesi per via nelle due settimane di fuoco di fine anno, pur non ricreando l’onda verde del 2009, non appartenevano all’onda nera della contestazione fondamentalista. Sono dei senza partito e senza leader.
Così, a macchia di leopardo, i primi sette mesi del 2018 hanno evidenziato azioni di gruppi sparuti o più corposi richiedenti aperture, che spesso la geopolitica non consente, oppure semplicemente opportunità lavorative interne ed estere egualmente difficili da attuare. E svelamenti di ragazze che mal sopportano anche il ruolo di ‘mal velate’; e ancora tensioni di imprenditori illusi dalle promesse di affari coi mercati occidentali che l’embargo strisciante – e ora quello ringalluzzito da Trump – rendono impraticabili. Più la caduta a precipizio del valore monetario interno che sotterra il business dei bazari, oltreché qualsiasi prospettiva di circolazione del denaro con acquisti, anche fra i ceti medi. Un cataclisma economico, che rientra anche fra le prospettive inseguite dai nemici del regime. Eppure quest’ultima verità collide con operazioni speculative in cui restano impegolati personaggi pubblici, legati comunque al sistema, com’è accaduto a una figura di vertice della Banca centrale iraniana, Ahmad Araghchi, che è stato recentemente arrestato.
L’uomo è il nipote del noto politico Abbas Araghchi che negli anni passati ha ricoperto funzioni di vertice presso il ministero degli Esteri. Non sono ancora chiari gli addebiti, certo è che la sponda conservatrice tuona contro “i corruttori economici”, e l’attuale ministro degli Esteri Zarif cerca di offrire qualche sortita a un quadro oggettivamente complicato dal rilancio delle sanzioni. Ma quando la gente comune si trova di fronte a soggetti che sottraggono miliardi tramite raggiri e operazioni speculative l’impatto emotivo risulta controproducente per l’intero establishment. Seppure la conflittualità interna per il potere provi a cavalcare ogni protesta economica, sociale, salariale. Le ultime paiono molto disilluse, mancanti di alternative concrete. E la spallata anti regime che gli oppositori filo occidentali (spesso riparati all’estero) sperano possa prodursi, non accade. Secondo alcuni analisti perché la macchina propagandistica del sistema riesce a compattare la popolazione sul tema della sicurezza nazionale messa in pericolo da tentativi destabilizzanti pilotati, contro cui l’apparato della forza ufficiale (polizia) e volontario (strutture paramilitari basij) riesce ad avere la meglio.

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