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venerdì 10 agosto 2018

Afghanistan, show talebano a Ghazni


Caduta sì, caduta no. C’è scontro anche informativo sulla sorte della città di Ghazni, a 120 km sud-ovest da Kabul, che i comunicati dei taliban sostengono d’aver conquistato e quelli governativi affermano d’essere tuttora controllata, seppure sotto il fitto attacco da stamane. Affermano poi che i miliziani sono, da ieri sera, a circa 250 metri dall’edificio delle forze di polizia che difendono la città (circa 300.000 abitanti) ma non l’hanno preso. I poliziotti sono l’unico presidio governativo, sebbene ora, dalla capitale convergano nel luogo dell’assalto, militari e qualche elicottero d’appoggio statunitense. L’iniziativa di difesa appare blanda, quasi volta a non voler ostacolare del tutto lo spettacolo dei turbanti, e il retro pensiero riguarda l’ostinazione con cui il presidente Ghani cerca di raggiungere un accordo coi talebani per valorizzare le elezioni del prossimo ottobre. Però da oltre un anno la Shura di Quetta non si fa convincere, al più stipula tregue; da maggio ne sono state firmate due, poi interrotte come nel caso di Ghazni.

Questa provincia non è strategica, ma costituisce un punto di passaggio verso città importanti. Attraverso Ghazni si va a Kandahar, come nel distretto di Parwan (a nord della capitale) ci si dirige verso Bagram fino a Mazar-e Sharif. Gestire le vie di comunicazione rappresenta l’anticamera del controllo del territorio sul versante della forza e dell’indotto in movimento, per ogni genere di merci. Le forze talebane occupano stabilmente due aree meridionali, quasi per intero l’Helmand e un’ampia fetta del distretto di Kandhar, dal 5% al 8% del territorio. Però in tante altre province hanno avamposti, compiono occupazioni, scorribande, azioni dimostrative. Le percentuali divulgate dieci mesi fa stabilivano il 15% di un’elevata presenza sull’intero territorio nazionale, una media presenza sul 20%, una bassa sul 30%. Dunque lo spettro talebano riguarda il 70% dell’Afghanistan. E questo spiega la frenesia di Ghani per accordarsi con loro e continuare nella sua sceneggiata di governo. Ma i turbanti lo fanno cuocere a fuoco lento. A maggio duemila miliziani si sono presentati a Farah, importante provincia occidentale, cercando di occuparne il capoluogo.

Combattimenti e morti, come in queste ore a Ghazni, poi hanno desistito anche perché in aiuto dei militari locali sono accorsi marines. Stavolta l’attacco non è stato frontale. Gli studenti islamici in armi, da settimane presenti nella provincia come del resto in altre zone del Paese, s’aggiravano per le campagne. Chiedevano offerte e imponevano dazi su raccolti e commerci e la gente, volente o nolente e soprattutto senza difesa, glieli concedeva. Poi nella notte la scelta dell’attacco contro il presidio armato del governo centrale: il posto di polizia, dove si contano  16 cadaveri e un numero imprecisato di feriti. L’occupazione durerà? Forse no. La strategia sembra proseguire in direzione del logoramento, della politica di Ghani, non del presidente che continua a risiedere fra Kabul e le località internazionali dove le scorte del Pentagono lo traferiscono per colloqui, incontri, parate di facciata. Chi muore e soffre, sta nella polvere afghana, in attesa che fra tre mesi si trasformi in fango.

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