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sabato 21 aprile 2018

Iran, proteste sparse


Non si sa se diverranno una ripetizione anche più estesa e violenta delle proteste scoppiate a fine 2017, comunque gruppi di iraniani sono tornati in strada, stavolta prevalentemente nelle aree di confine con l’Azerbaijan, più i soliti nuclei studenteschi attivi nell’università di Teheran. Hanno sfilato in maniera creativa a piedi, su moto e automobili, hanno urlato e inveito. Hanno appiccato incendi, hanno subìto la repressione dei reparti antisommossa che hanno anche sparato. In due giorni si sono registrati ventidue morti (l’afferma Al Jazeera, mentre i media iraniani tacciono) e oltre cinquecento arresti. Roba non da poco. Ali Khamenei, intervenendo davanti a gruppi di fedelissimi, ha nuovamente accusato nazioni straniere e nemiche intente a organizzare sommosse per attaccare non solo il legittimo governo, ma la sicurezza della nazione e della stessa popolazione. Eppure una fetta, neanche esigua, di popolazione sfugge alle indicazioni della Guida Suprema, come il movimento delle donne che da mesi contesta l’obbligatorietà del velo. Costoro, in maniera organizzata o con iniziative singole, salgono su qualsiasi rialzo, fosse anche un gradone incontrato per via, ed espongono il proprio hijab lontano dalla capigliatura, in palese gesto di sfida.
Il braccio di ferro con l’Istituzione è aperto. Però quando alcuni reparti della polizia che s’occupa della morale dei cittadini intervengono con decisione e violenza, com’è accaduto nei giorni scorsi a una giovane redarguita in un parco pubblico non tanto perché priva del velo ma perché giudicata una ‘mal velata’ con abiti sgargianti, ne è nato un parapiglia diventato un boomerang per il regime. Un’amica della “mal velata” registrando e postando su Istagram le immagini dell’aggressione ha innescato l’ennesima rabbia contro la repressione dell’abbigliamento. C’è stato uno scossone interno: la vicepresidente degli affari femminili Ebtekar ha condannato il feroce comportamento dei membri del gruppo di vigilanza ed è scattata un’indagine. Accanto a simili questioni, sempre vive poiché riguardano la liberalizzazione dei costumi e princìpi di autodeterminazione di genere, riemerge il malcontento attorno a problemi economici che hanno condotto il governo a introdurre nuove tasse, mentre l’inflazione sale, la disoccupazione pure e taluni strati sociali impoveriscono in maniera non sopportabile. Il governo si giustifica con quella forma di embargo strisciante che, nonostante l’accordo sul nucleare di due anni or sono, conduce molti istituti finanziari a rifiutare investimenti in Iran.
L’amministrazione Trump non ha fatto altro che incentivare gli ostacoli, palesando l’intenzione di rimettere in discussione l’intero accordo. Il quadro internazionale con la crisi siriana incrementa l’irrigidimento delle parti, ma il governo di Teheran enormemente impegnato in quella e altre aree mediorientali (Yemen e Libano) vede parte del suo popolo contrariato e contrario alle enormi spese militari per mantenere quei fronti, mentre in casa c’è chi tira la cinghia e chi si ritrova senza risorse anche per beni primari. Soffiando su questi fuochi accesi, l’ala conservatrice vicina al chierico Raisi e oppositrice del presidente riconfermato Rohani, aveva dato il via, oppure s’era inserita, nelle contestazioni di dicembre, scoppiate non a caso a Meshab, città fedelissima dell’est e serbatoio elettorale di Raisi. In quelle settimane si parlò anche di azioni mosse da sostenitori di Ahmadinejad che venne sottoposto ad arresti domiciliari. Durante l’inverno gli eventi esteri hanno preso il sopravvento, ma non essendosi sciolto nessuno dei nodi economici citati, anzi diventando col passare del tempo ancor più scottanti le contraddizioni riemergono. Certo, ciascuno fa il proprio gioco, e gli interventi di Nikky Haley a commento degli ultimi eventi iraniani, fa rilanciare al vecchio Khamenei il refrain della minaccia alla sicurezza nazionale. Tema cui tutti gli iraniani sono sensibili, ma anche il malcontento può fare la sua parte.   

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