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sabato 7 aprile 2018

Gaza, la terra e la libertà sacrificando la vita


L’inferno della Striscia è fumo nero e gas dentro cui fischiano i proiettili. Chi manifesta per un ritorno che è a rischio morte lo fa con la coscienza che noi crediamo disperazione. Ma chi vive in quella prigione che Tsahal trasforma in cimitero sta solo ricercando la vita. Il mondo non vuol comprendere, non vuol saperne di diritti palestinesi tant’è che a mala pena ne parla e ne parla perché riporta notizie di vittime. Ieri nove. Però lo fa con sufficienza, per cronaca, ripetendo che Israele aveva ribadito le sue regole d’ingaggio. Le quali, già dal precedente venerdì, sancivano l’assassinio. Non era servita una settimana perché i potenti del mondo e del Medio Oriente facessero qualcosa, pronunciassero una nota di sdegno. L’aveva fatto Erdoğan ma per sé, innescando un battibecco con Netanyahu che non mutava niente su quei confini dove la protesta ieri ha ampliato i numeri e Israele ha ripreso a colpire bersagli umani. Alcuni ben scelti dai cecchini. Yasser Murtaja era uno di questi. Lavorava per l’agenzia locale Ain Media producendo foto e video.
E’ stato individuato con cura dal killer in divisa con la stella di David. Portava ben visibile la dicitura press. Era, dunque, uno di quei testimoni che i criminali su tutti i fronti odiano: i giornalisti. Coloro che possono testimoniare, possono narrare con parole e immagini gli scempi compiuti per ‘ordine’ e per ‘dovere’. Categorie disumane in certi scenari, dove chi si fronteggia risultano soggetti ben diversi: soldati armati contro cittadini inermi. Ieri ancora una volta questa era la scena sul confine fra la Striscia e Israele, su quella terra che bande armate sioniste costituitesi in esercito strapparono a un popolo che le abitava da secoli. Quel 15 maggio 1948 ricordato da Israele come nascita del proprio Stato e come Catastrofe dalla gente di Palestina costretta alla perdita di familiari, case, terra e alla fuga, è da settant’anni materia di contesa ed è motivo della protesta di queste settimane. Il mondo non capisce, è stanco di capire, non ha mai compreso o non vuol comprendere il dramma di persone costrette da quattro e più generazioni a vivere da profughi.
Israele prosegue a raccogliere nel suo Stato gli ebrei di lontane provenienze, accasati in altre nazioni rivendicando un diritto al ritorno su quella terra. Lo stesso diritto che nega ai palestinesi e che viene richiesto dai manifestanti di cui Hamas si fa portavoce. Queste premesse vengono taciute da gran parte dell’informazione. Molti media citano, e come potrebbero non farlo, i morti di queste ore ma vagano sui motivi. Spesso accolgono le veline della propaganda di Netanyahu e rilanciano il refrain del pericolo terrorista insito nei piani di Hamas. In queste ore a fare da bersaglio alla smania stragista di Israele c’è la gente oppressa di Gaza. Migliaia di giovani, certamente rabbiosi, nel vedere il proprio sangue spargersi sull’agognata terra. Quella terra, quella libertà di viverla Israele stragista e il mondo immobile le negano a una popolazione cosciente e coraggiosa che reclama un futuro e rischia la vita per averlo.
  

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