Belquis Roshan, è da
alcuni anni presente nella Mehrano Jirga (la Camera Alta del Parlamento) eletta
come indipendente nella provincia di Farah. L'abbiamo incontrata a Kabul. Ringraziamo
Mahbooba Siraj per la preziosa traduzione dal dari che ha reso possibile l'intervista.
Senatrice Belquis, le pare realistica la proposta di Ghani
d’inserire i talebani al governo?
Mi pare una sceneggiata.
Se mai si dovrà compiere questo passo lo decideranno gli americani. Washington
finanzia il governo afghano e i talebani stessi, magari ci saranno pure
talebani che si tengono lontani da queste trame, ma sono una minoranza.
L’esempio offerto negli ultimi mesi da Gulbuddin Hekmatyar è emblematico: è tuttora
un personaggio politico molto potente e influente nel nostro Paese, potrebbe
tranquillamente fare a meno di rapportarsi agli Stati Uniti. Invece non ha
respinto le offerte di Ghani programmate dagli Usa, visto che sono quest’ultimi
a dettare l’agenda. La proposta di Ghani è un diversivo per confondere le acque
e imbrogliare la popolazione. Sta bene anche ai talebani, che sono sì cresciuti
ma non hanno la forza per conquistare il potere con le armi. Così agli occhi
dell’opinione pubblica loro restano in partita, mentre il governo (che non
riesce a sconfiggerli) si rivende la mossa pacificatrice che, come ai tempi di
Karzai, finirà in un nulla di fatto. Un fattore di preoccupazione per gli Usa sono
quei talib ingaggiati da russi e iraniani e quelli foraggiati dai pakistani,
che risultano incontrollabili dalla Cia.
Ma talebani e jihadisti del Daesh hanno progetti autonomi?
Non mi sembra. Certo, entrambi
incutono terrore con stragi rivolte a militari e civili. I primi fanno sentire
una presenza asfissiante in diverse province nelle quali contano più degli
amministratori locali e delle truppe governative presenti solo formalmente. In
diverse realtà sono i talib a riscuotere tributi, a gestire commerci legali e
illegali, a decidere se le scuole si possono aprire o vanno chiuse o, ancor più
frequentemente, devono essere riconvertite in madrase vere fucine di fondamentalismo.
Son loro a requisire fondi statali orientandoli verso i propri tornaconti anche
personali. Il governo sa e lascia fare. L’area di Farah, che ben conosco perché
per il mio mandato parlamentare faccio la spola fra Kabul e questa provincia,
conta alcuni raggruppamenti taliban, in varie situazioni la popolazione subisce
i soprusi per paura e perché non viene tutelata da polizia ed esercito
governativi. A Farah ci sono militari, elicotteri, sono presenti reparti
italiani (il mese scorso gli istruttori del nostro contingente hanno diretto
l’ennesimo programma di assistenza ai colleghi afghani secondo quanto previsto dal
Resolute support, ndr), però non
intervengono. E quando lo fanno censurano o reprimono le famiglie del posto cui
i talebani chiedono vitto e tributi.
Il piano occidentale di normalizzazione dell’Afghanistan è
fallito, restano le basi aeree statunitensi, l’occupazione militare magari con
più contractors che marines, ma la situazione è stagnante. A suo parere tutto
resterà immutato?
Quando quest’occupazione
iniziò la popolazione era stanca dei soprusi talebani, ricordava e piangeva i
lutti provocati dal conflitto interno fra i Signori della guerra che avevano
assassinato tanti civili. C’era chi sperava in una liberazione, pensando a un
intervento temporaneo. I governi instaurati dagli Stati Uniti (le due
amministrazioni Karzai, ndr) hanno protetto i criminali di guerra, li hanno
addirittura inseriti nelle Istituzioni (Rabbani, Sayyaf in Parlamento, Khalili,
Fahim nel ruolo di vicepresidenti, ndr). Agli Stati Uniti interessa solo
restare qui per controllare la regione, avere un occhio strategico militare su
Russia, Cina, India. Se la gente rimarrà passiva la situazione è destinata a
mantenersi in stallo, finché la popolazione non avrà consapevolezza di chi sono
i reali nemici lo sbocco democratico diventa impraticabile. Quando un civile
viene ucciso dalle truppe governative o della Nato gli abitanti non sanno come
reagire, vorrebbero giustizia, non ottengono riparazione. I più giovani cadono
nella rete dei talebani che gli promettono vendetta e liberazione dagli
stranieri e dal governo collaborazionista. Eppure paradossalmente i
fondamentalisti sarebbe il nemico più facile da combattere, si rivelano deboli
e contraddittori perché cambiano orientamento in base al tornaconto del momento.
Accanto al business dell’oppio - sempre presente con
coinvolgimento di clan politico-affaristici locali, talebani, generali Nato,
mafie internazionali - è in pieno sviluppo lo sfruttamento del sottosuolo
afghano a opera di alcune aziende occidentali e ultimamente della China Metallurgical
Corporation. A quest’ultima il presidente Karzai ha concesso la gestione delle
miniere per trent’anni, i miliardi di dollari del contratto sono finiti nelle
sue tasche. L’attuale presidente Ghani mostra il progetto del gasdotto Tapi
come un’opportunità per la nazione, finirà come per le miniere con ruberie
presidenziali?
I progetti che lei cita possono
creare lavoro temporaneo per la popolazione, non di più. I mega programmi
mancano di controllo oppure quest’ultimo è gestito dalla politica che si è
sempre dimostrata inaffidabile e speculativa. Il ritorno per il Paese e i suoi
abitanti è pari a zero sia sul piano d’investimenti produttivi, sia sul fronte
d’un possibile reddito nazionale. Vale anche per il Tapi che arricchirà le aziende
dei soliti noti. Già si pianifica che il sostegno del percorso dei 770 km della
pipeline sul territorio afghano sarà offerto all’azienda cementifera di Mahamoud
Karzai, ennesimo fratello dell’ex presidente. Nel business è coinvolto anche un
membro del Parlamento che s’occupa, pensi un po’, di cosiddetti lavori
pubblici. In realtà di pubblico sul mercato interno non c’è più nulla, i
governi sorti con l’occupazione Nato e la collaborazione della comunità
internazionale hanno promosso solo iniziative private che intascano i fondi
degli aiuti senza creare infrastrutture. Voci ufficiose calcolano l’introito
dei dazi del Tapi, per il passaggio del gas sul nostro territorio, sui 300
milioni di dollari l’anno. Il rischio che quest’introiti finiranno sui conti
personali di uomini di governo, come ai tempi di Hamid Karzai, è altissimo.
Solo un governo realmente popolare potrebbe prevedere un utilizzo delle risorse
per la gente, il nostro esecutivo fa il contrario. Faccio l’esempio del
commercio: il nostro governo apre le frontiere a merce di secondo o terz’ordine
spinta qui da Iran e Pakistan. Non c’è nessun controllo sulla qualità dei
prodotti, solitamente scadentissimi, né c’è difesa della salute dei cittadini.
La massima istituzione afghana, nella quale sono stata eletta, è da anni
congelata, non è stata più rinnovata con una consultazione; tutto resta fermo
come in una palude. La gente vede queste cose. Nonostante sia tenuta all’oscuro
da un’informazione para governativa, intuisce che esistono conflitti
d’interesse e ruberie. Occorre organizzare chi non ne può più, occorre creare
un fronte di lotta. Una decina d’anni fa, quando iniziammo a fare questi
discorsi, ci accusavano d’essere distruttivi, spie degli stranieri, oppure
folli utopisti. Lo dicevano proprio i reggicoda dei governi-fantoccio che
stanno depredando il Paese, svendendolo agli interessi imperialisti. Ora mi
sembra ci sia più coscienza, c’è paura sì, ma c’è più coscienza. Quando giro,
non solo nella mia provincia dove sono conosciuta, ma anche qui a Kabul le
persone si fermano per dirmi: hai ragione, le vostre denunce sono giuste. Me
l’han detto anche dei militari.
E allora senatrice, cosa manca a chi fa una reale
opposizione per capitalizzare questo lavoro di coscienza politica?
Manca una forza
progressista di massa che diriga la popolazione, noi lavoriamo per
quest’obiettivo. Purtroppo non giocano a favore tutti coloro che in nome della
rivoluzione, del socialismo hanno lasciato segnali terribili di devastazione e
morte, come fece il partito filosovietico nei Settanta, come hanno fatto
jihadisti e talebani in seguito, e la stessa sedicente democrazia di questi
ultimi diciassette anni. La gente è confusa, non si fida di nessuno. La via che
trasforma la consapevolezza in azione è lunga, tutto è reso più difficile
dall’analfabetismo e dal terrore seminato fra la gente dal doppio binario di
attentati fondamentalisti e repressione militare.
Oggi questo percorso è più difficile di sei anni fa quando lei
venne eletta?
Da quando ero
consigliera provinciale per poi diventare senatrice ne ho viste molte. Ho visto
tanti sedicenti democratici che si proponevano in politica per cambiare -
dicevano - il panorama. Io non ho mai pensato di lavorare col governo, ho
sempre pensato di utilizzare ogni spazio per dare voce alla gente. Nei primi
tempi ero invitata dai media anche televisivi, da quando ho espresso dissenso e
lanciato denunce gli spazi si son chiusi. Un’arma che viene usata contro il mio
impegno è il boicottaggio. Lo praticano addirittura le strutture istituzionali che
non mi comunicano taluni appuntamenti, oppure cercano di usare anche miei
conoscenti per impedirmi di osservare, d’indagare. Di recente un amico m’ha riferito
d’essere stato contattato da un addetto governativo perché mi convincesse a non
partecipare a un determinato incontro…
Si presenterà alle prossime elezioni? (sperando che ci siano)
Non l’ho deciso. Le
elezioni e gli incarichi conseguenti sono un’opportunità straordinaria per chi
mira a una carriera personale, lecita e illecita. Si può rubare pur non stando
al governo, visto che si presentano un’infinità di occasioni anche per chi
riveste incarichi di semplice rappresentanza. Chi, come me, usa questo mezzo
per la lotta e l’emancipazione popolare ha ben altre prospettive e corre taluni
rischi. Ma di rimando riceve la benefica sensazione di tener vive le speranze
di milioni di afghani. Se i compagni e gli elettori me lo chiederanno mi
renderò ancora disponibile.