Il principe che promette un Islam moderato sembra ormai prossimo
all’incoronazione ufficiale. Voci insistenti ribadiscono a breve il cambio
della guardia fra i Salman: figlio al posto del padre messo fuorigioco (si
dice) dall’Alzehimer. Frattanto il giovane di belle speranze e grandi pretese
sta collezionando sponsor geopolitici, che però fanno pensare come la fetta di
mondo su cui vive e opera, e su cui vuole allungare le mani, rischia più di
quanto ha subìto finora. Accanto a bin Salman si stanno posizionando padrini
imperialisti di lungo corso, Francia e Gran Bretagna, i creatori del Medio Oriente
conosciuto per un secolo poi gradualmente incrinato e recentemente imploso. Osserviamo
le ultime mosse. Uno: il presidente francese Macron che si fa garante del
futuro di un Hariri jr teleguidato da Riyadh. Due: la passione con cui a Londra
si valutano le conseguenze del terremoto politico avviato da bin Salman e il
suo repulisti “contro la corruzione” che, colpendo principi affaristi locali, incrina princìpi degli affari internazionali.
Se pensiamo solo agli interessi petroliferi questi coinvolgono a pieno le
‘Sette Sorelle’, poi c’è la frontiera del turismo che nel Golfo ha creato un
circuito di enormi investimenti di quell’industria e di quella dei servizi, finora
gestite più dai vecchi colonialismi occidentali che dal gigante cinese.
Tre: la sicurezza, un campo in cui lo Stato sorto per destabilizzare
il Medio Oriente, Israele, è il primo della classe. Anche questa nazione ha
palesato un aperto apprezzamento delle manovre (non solo quelle militari in
Yemen) del piccolo principe che si fa re. L’assenso ufficiale l’ha offerto in
un’intervista a un grande giornale israeliano il capo dello staff militare
dell’Idf, Gadi Eisenkot. E ci riferiamo solo alle prime sortite di approvazione
verso la linea di bin Salman che nella sfida, tutt’altro che tranquillizzante,
di egemonia nella regione fra sauditi e iraniani disegna un nuovo terreno di
confronto-scontro, probabilmente non più tramite attori interposti. Nazioni pur
piccole e fragili come il Libano rischiano un ritorno di venti di guerra; i
conflitti che si dicono conclusi (in Siria e Iraq) e non lo sono affatto,
prevedono continuazioni vicine e lontane con frammentazione dei territori e
magari le immancabili occupazioni tramite operazioni di ‘polizia
internazionale’. Certo il sorriso con cui il sionismo accoglie il giovane
politico in kefiah, è più subdolo della stretta di mano fra Rabin e Arafat,
perché non mira a stabilizzazione e pace. Le proclama, le mima, però vuole
imporre il proprio ordine e i suoi interessi, che non sono quelli generali, ma
di parte. Gli stessi presenti dall’epoca di Sykes-Picot e creatori di stati
satelliti su cui ha prosperato il colonialismo di ritorno.
Quelli che nelle
spartizioni pre e post Guerra Fredda hanno creato protettorati consoni solo
alle potenze geopolitiche. Gli interessi che tramite rivoluzioni tradite da
statisti rivelatisi satrapi hanno scippato e umiliato i ceti e i gruppi etnici più
bisognosi, perpetuando tribalismi e avallando clanismi. Questo Medioriente
violato e sfruttato dall’esterno e dall’interno, non potrà ricevere benefici da
un nuovo arrivato che sa di vecchio, perché antico (non per tradizione bensì
per asservimento) è il modulo che propone. Prima di lui l’hanno fatto altri,
non necessariamente regnati con la corona. Sono stati i presidenti diventati
sovrani, pronti a perpetuare e sfruttare sogni e bisogni di cittadini da loro
considerati solo sudditi. In qualche modo premiati, e non tutti, se succubi,
altrimenti repressi. E’ il modello pluridecennale, tuttora presente nelle
petromonarchie. E’ la storia di nazioni laiche che hanno abbandonato e
calpestato ogni speranza di trasformazione socialista negli egoismi e nelle
trame familiari che hanno lasciato macerie e povertà nel Maghreb e nel Mashreq.
Su questi fallimenti continua a incombere l’imperialismo che cerca alleati
locali e li sostiene come fa coi sauditi (e non solo) sia quando garantiscono
il passato, con wahabismo e jihadismo annessi, sia se prospettano un futuro di
eserciti da lui armati, che s’affiancano ai propri lì parcheggiati stabilmente
o per straordinarie ‘missioni di pace’ che durano una vita.
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