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giovedì 7 settembre 2017

India, il fondamentalismo induista silenzia un’altra voce


L’omicidio della cinquantacinquenne giornalista indiana, Gauri Lankesh, avvenuto a Bangalore (la metropoli scientifica per eccellenza della federazione indiana), con tre proiettili sui sette sparati da un commando che l’attendeva nei pressi della sua abitazione, è solo l’ultimo di una catena che da anni insanguina il Paese. Negli ultimi quattro, il medico e intellettuale Dabholkar (2013), lo scrittore Kalburgi, il filosofo Pansare (entrambi nel 2015) sono stati freddati a colpi di pistola da killer poi dileguatisi  alla maniera dei tre assassini della giornalista. Purtroppo le indagini sui crimini si sono via via svilite, sebbene i sospetti rivolti a induisti fanatici che vedono nei sostenitori d’idee progressiste, razionaliste e anticasta dei bersagli da colpire, fossero pesanti. Ma l’aria che l’enorme nazione respira dalla salita al potere dell’ampiamente conservatore Partito Nazionalista Indù (Bharatiya Janata Party) non è delle più democratiche. Anzi, con l’elezione a presidente del leader Narendra Modi, attivissimo sulla scena internazionale sul fronte dell’economia geopolitica coi Brics e oltre, le componenti più retrive dell’estremismo cavalcano l’idea di ‘induizzazione’ della società. Quello che le vittime citate provavano a contrastare.
La Lankesh, giornalista di lungo corso e figlia d’arte, s’inseriva in tale contesto, magari non su un fronte di dispute ideologico-religiose come le altre vittime, ma era in prima linea per le battaglie a favore di umili, minoranze (ultimamente i Rohingya) e dei diritti dei gay. Era conosciuta come la cronista indomita, amante del ruolo vitale della professione: far conoscere questioni senza nasconderne le contraddizioni, senza voltare lo sguardo e farsi intimidire dal potere. Sull’impostazione data a un settimanale (Lankesh Patrike), fondato dal padre e per il quale Gauri continuò a lavorare insieme al fratello Indrajit, nacquero con quest’ultimo dissensi. I due arrivarono a querelarsi, sebbene l’uomo, che s’occupava della gestione economica, non fosse coinvolto nella linea editoriale. Indrajit accusò la sorella di offrire spazio alle posizioni naxalite, una variegata componente maoista  presente in alcune aree del Paese. Lei negava, pur ribadendo tutto il suo progressismo sociale e politico, rivolto contro le posizioni reazionarie di partiti e associazioni della destra indiana. L’anno scorso la cronaca giudiziaria interna l’aveva vista coinvolta in una diatriba con l’accusa di diffamazione per aver accusato tre membri del partito di governo (Bjp) di truffa verso un commerciante. Dopo vari dibattimenti fra giudici di primo grado, Corte Suprema cui la giornalista s’era rivolta, una sentenza definitiva la condannava per non aver fornito prove sulle accuse. Il rifiuto a fornire documenti e soprattutto le generalità degli informatori, che a suo dire provenivano da membri del partito stesso, ribadiva i tratti d’una caparbietà caratteriale e professionale.
Rigorosa nel raccontare, implacabile quando scopriva intrighi che riguardavano il potere Gauri rappresentava l’ennesimo esempio di chi offre valore a questo lavoro, notoriamente un avamposto nel controllo dei potenti, purtroppo in vari casi trasformato da quest’ultimi in servizievole corte. La Lankesh era altro. Apparteneva alla parte pregiata dell’informazione e questo gli è riconosciuto da parecchi colleghi ed editori in India e fuori. La ricordano come un’eccellente giornalista, dicono che nonostante fosse piuttosto nota avrebbe potuto avere un pubblico più vasto scrivendo in inglese, invece aveva scelto l’etimologia della regione (kannada) per restare in rapporto con la gente del territorio. Uno dei suoi punti fermi era l’opposizione al sistema delle caste giudicato ingiusto e prevenuto, perciò era vista come fumo negli occhi da un ampio fronte conservatore, dal partito di governo ai più viscerali fondamentalisti indù. Il ‘Comitato di protezione dei giornalisti’ ha richiesto alle Istituzioni adeguate inchieste sul suo omicidio e ha lanciato un appello per “fermare l’escalation di violenza della destra politica che, servendosi di tematiche odiose, sta rendendo impossibile la convivenza nel Paese”. Da ieri migliaia di cittadini rendono omaggio e onore al feretro della donna, esposto pubblicamente nel cimitero di Bangalore.

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