Lo stesso fotografo (Angelo Carconi dell’Ansa) che ha immortalato la scena, in assoluto
rara ma reale, l’ha commentata così sulle pagine de La Stampa: “Non so dire se il
gesto del poliziotto fosse improvvisato o studiato. Però dalla distanza da cui
ho scattato è sembrato un momento intenso: un poliziotto che ha ordine di
sgomberare la piazza e una donna che vuole riappropriarsene condividono un
momento di semplice umanità”. Un gesto delicato, certo. Quelle mani che
stringono il volto per consolarlo dell’ingiustizia che sta subendo. Un’ingiustizia
sedimentata da anni, se si scava nella vicenda di quegli eritrei e somali occupanti
“abusivi” di uno stabile per far fronte all’esigenza primaria di avere un tetto,
non da migranti clandestini o regolari. Ma da rifugiati, riconosciuti tali
dalla Repubblica Italiana e da questa teoricamente tutelati. Teoricamente.
Perché secondo quanto denuncia il rappresentante dell’Unhcr per il sud d’Europa
“In quattro anni di occupazione (di
uno stabile di proprietà della Banca San Paolo di Torino presso la stazione
Termini di Roma) è mancata una strategia
concreta di intervento sociale e abitativo. E le alternative proposte nel corso
del sit-in di protesta in piazza, oltre a essere tardive risultavano inadeguate,
poiché non avrebbero garantito una sistemazione a tutte le persone”. Per inerzia della giunta Marino (giugno 2013
- ottobre 2015), del commissario prefettizio Tronca (novembre 2015 - giugno
2016), della giunta Raggi (giugno 2016 e tuttora in carica) si è arrivati,
prima allo sgombero senza alternative per tutti, poi alla repressione della
protesta che stazionava in una piazza centrale, seppur non monumentale di Roma.
L’abbraccio comprensivo del poliziotto, decisamente migliore della foga con cui
un funzionario della polizia di Stato incitava i sottoposti a spaccare le
braccia a chi s’opponeva alla violenza tirando sassi, non è la faccia buona del
dualismo repressivo.
Anche lo stereotipo cinematografico dell’agente
buono che offre la sigaretta al fermato dopo che il collega cattivo gli ha
prodotto qualche ecchimosi è trito, e comunque conferma che i due ricoprono
ruoli preconfezionati per un fine. Oltre il gesto, che ci piace credere
personale e sincero, del celerino, già definito dalla canea politica, buonista,
c’è dell’altro. L’ignavo disegno della politica centrale e periferica di non
fare nulla o quasi, per risolvere i problemi che s’affacciano e si accumulano.
La volontà di applicare una fermezza senza senso, che non disdegna durezza e
violenza rivolte ai deboli, accusati, come in questo caso, di trasgressione. Con
l’aggiunta di lavare uomini, donne, bambini con gli idranti per levarseli di
torno. Eliminarli da un arredo urbano che, pur nell’enfasi di RomaCapitale,
resta polveroso e abbandonato. E in questa capitale che anche in centro mostra il
medesimo abbandono delle periferie abbandonate a sé, politici e amministratori
vogliono cancellare anche l’ombra delle presenze critiche. Di chi è costretto a
ricordargli ciò che non fanno, a cui rispondono facendo la guerra dell’acqua o
dei lacrimogeni o delle botte. Sono i compiti dei tutori dell’Ordine. E già il
proprio sindacato ne difende la pratica della forza che attiene al ruolo e ai
regolamenti. E’ sempre stato così. La carezza al posto del manganello resta un
gesto, che rende orgoglioso il figlio dell’agente, ma non muta un sistema.
Soprattutto non può celare la via intrapresa dall’attuale governo e dal nuovo
ministro degli Interni, forte e convinto del suo senso della forza. Con cui
schiacciare sul nascere ogni protesta, anche la più legittima che evidenzia
l’ingiustizia in atto. Il dissenso, la diversità di condizione e di pensiero semplicemente
non devono esistere, bisogna cancellarli dalla capitale o da altre nostre città
avvinte e vinte dalla colpevole inerzia di chi dovrebbe guidarle. Lorsignori spazzano via con l’acqua i
problemi che non risolvono, sperando che anneghino.
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