Partendo dai testi di Amhed Rashid, decano dell’ermeneutica
talebana, ma anche di altri giornalisti che si sono dedicati all’argomento, due
ricercatori del network di analisi sull’Afghanistan (Anand Gopal e Alex Strick
van Linschoten) hanno avviato un interessante studio del fenomeno taliban. In
un primo documento ne distinguono alcune fasi: una precedente al 1979, la lotta
antisovietica e la guerra civile, la creazione dell’Emirato dell’Afghanistan,
che coincide con la presa del potere e il governo del Paese. Quindi crisi e
caduta, conseguenze e compattamento attorno a un progetto di islamismo
nazionalista.
Longevità
- Uno
dei tratti che caratterizza lo sviluppo di varie epoche dell’epopea talebana è
la longevità del progetto. In ogni fase, pur fra alti e bassi del rapporto col
potere, la capacità organizzativa rappresenta un elemento di forza degli
studenti-guerriglieri, correlato alla repressione. Paradossalmente più questa
trova spazio più li rafforza, fornendogli la materia prima rappresentata dai
giovani combattenti, forgiati e cementati dall’ideologia. Buona parte degli
studenti coranici, si sa, si sono formati nelle madrase pakistane durante il
periodo della dittatura del generale Zia ul-Haq, avviata con un colpo di mano
nel luglio 1977 e proseguita per oltre un decennio. Quegli anni conobbero, fra
l’altro, una crescente islamizzazione integralista della società pakistana sostenuta
e incentivata dal presidente che riceveva finanziamenti sauditi per la diffusione
del wahhabismo. I giovani talebani si formavano anche nei campi profughi
dov’erano riparate decine di migliaia di afghani in fuga dall’invasione
dell’Armata Rossa. I ricercatori esaminano materiale documentario, come le memorie
di jihadisti antisovietici che avevano partecipato alla resistenza nel sud del
Paese. Nelle testimonianze di capi guerriglia e di semplici miliziani l’idea
della difesa del territorio da ingerenze esterne si lega a quella dell’onore, alle
virtù innescate dalla repressione, sia interna attuata dai
governi fantoccio, sia esterna supportata dagli eserciti alleati.
Identità - Il messaggio patriottico
dei talebani nelle province in cui sono presenti è un tutt’uno col radicamento
in tali aree di mullah, giovani studenti e fedeli islamici sostenuti dal
desiderio di affermare una propria identità. Il loro periodo di formazione è
lungo. Nasce dai mesi e poi dagli anni di lotta antisovietica degli stessi
mujahhedin, ma va oltre i poteri individuali acquisiti nel tempo dai Signori
della guerra che da quella resistenza sono scaturiti. Il riferimento risale
direttamente alla tradizione islamica presente alla disgregazione dell’Impero
Ottomano e ai successivi rappezzamenti geopolitici coloniali che introducono il
ripristino di monarchie locali, dalle progressiste di Amanullah, al pensiero più
moderato di Narid Shah e del figlio Zahir. Il patchwork islamico, già allora
presente, nell’area dell’ex Pashtunistan (divisa, nel 1893 dalla cosiddetta
Linea Durand, fra l’Afghanistan propriamente detto e quella parte delle Indie
Britanniche che nel Secondo dopoguerra diede origine al Pakistan) punta sempre
a formulare una difesa della propria tradizione culturale contro il dominio
Occidentale. In tal senso le esperienze monarchiche o repubblicane sono viste
dai movimenti islamisti come un puntello dell’imperialismo di ritorno, ben
radicato in tutto il Medioriente con le truppe schierate o con i piani
economici, ciascuno accettato e subìto dai governi considerati
collaborazionisti.
Islamismo - Le forme di
liberalizzazione e modernizzazione della società, vissute negli anni Sessanta e
Settanta del Novecento, vengono considerate forzature da ciascuna componente
islamica, sia dai gruppi armati degli studenti coranici sia da coloro che, nella fase della guerra civile
successiva al ritiro sovietico, entreranno in contrasto coi talib. L’Afghanistan
rurale è un ambiente eclettico, un mix tribale dove permangono elementi di
sufismo. Questo mondo si dà norme della Shari’a
come codice legale, impiegando gli ulama per amministrare la giurisprudenza. Presenti:
lapidazione di adultere, punizioni corporali a uomini e donne, pena di morte,
tutte queste ‘regole’ verranno ribadite e rilanciate durante il quinquennio
dell’Emirato (1996-2001). In precedenza lo Stato, incrementando una presenza
nei villaggi, aveva creato frizioni coi cittadini per un eccesso d’imposte e tramite
l’arruolamento nell’esercito. Dal canto loro khan e malek proseguivano a
organizzare la vita quotidiana mirando a razionalizzare i rapporti sociali e
legittimare l’Islam. Mentre i mullah di campagna, nonostante fossero al libro paga
del governo, amministravano un tipo di religione fortemente legata ai bisogni
locali, si creavano scuole informali e ciò che veniva imparato attorno alla Shari’a non era di certo insegnato nelle
strutture governative. La fase dell’Emirato segna una transizione fra la
regolazione di rituali e l’esigenza d’una moderna arte di governare, una
contraddizione che, comunque, non ha avuto una reale soluzione per la brevità
dell’esperienza.
Integrità e purezza - I talib diventavano la coscienza critica di quel jihadismo combattente
dei mujahhedin. Entrambi i gruppi erano foraggiati dalla Cia, ma i primi miravano (e mirano)
a creare un proprio sistema statale. Ci si dava un codice per preghiera e
lavoro, a nessuno era permesso di addestrarsi in proprio, chi violava le regole
era soggetto a punizioni, era vietato l’uso di droghe e i minori non erano
ammessi fra i combattenti. Tutti questi obblighi diventavano di per sé
portatori di cambiamento profondo e duraturo. Di conseguenza si stilano
progetti su come le persone dovrebbero comportarsi e su come la società
dovrebbe essere organizzata fino a sfiorare l’ossessività ideologica più che
teologica. Buona parte delle tendenze intransigenti su musica, segregazione e
oppressione femminile viene dal retroterra dei luoghi di formazione, ma risente
anche dei tratti integerrimi con cui il jihadismo talebano ama distinguersi dal combattentismo mujahhedin.
Quest’ultimi militanti erano e sono considerati rozzi e ignoranti dagli studenti coranici
che, all’interno della stessa rivoluzione delle gerarchie sociali e tribali
seguita a decenni di guerriglia, hanno incarnato il ruolo dei guardiani della
Sunna, imponendosi un programma di autodisciplina che quasi sfiorava
l’ascetismo. Gli esempi del mai dimenticato mullah Omar, ispirato da maestri
sufi, e dell’attuale guida politico-militare, e secondo molti, spirituale lo sheikh-ul Ḥadīth Haibatullah Akhundzada lo
testimoniano. (cfr. http://enricocampofreda.blogspot.it/2016/05/haibatullah-luomo-della-fede.html)