Nella testa del conducente-vendicatore, bianco,
forse britannico - cattolico, protestante, ebreo o non credente non importa - Finsbury
Park si prende la rivincita su Westminter e London Bridge. “Voglio uccidere i musulmani” è l’essenza
di un pensiero che se per ora può contare sull’esempio di un ‘lupo solitario
occidentale’ magari darà vita a gruppi di fondamentalisti anti islamici che in
geopolitica esistono già, organizzati in eserciti, prima che in gruppi
paramilitari. Quest’ultimi in periodi vicini e lontani della Storia hanno
rappresentato drammatiche realtà, tutte giustificate dall’immediato orizzonte
degli eventi, e poi ripensate con parziale ammissione di colpa, anch’essa non
sempre scontata. Le sete omicida trasformata in atto dall’ennesimo attentatore
londinese, che ha lanciato l’automezzo della follìa su una folla di fedeli uscita
da una delle ultime preghiere collettive dell’annuale Ramadan, è qualcosa di
già scritto e formulato in soluzione alternativa “per non soccombere” da
teorici della politica del razzismo muscolare e da intellettuali che cavalcano
il tema con raffinata scrittura. Un plot ricamato attorno all’intreccio del
sanguinario Islam jihadista che sgozza e spappola sotto le ruote le esistenze,
simili nel tran tran metropolitano, diverse nei princìpi dei sacri libri, degli
infedeli. Così i fedelissimi alla ritualità della morte trovano spazio, motivo
e missione anche sul fronte opposto.
Vestono in tutto e per tutto l’ideale del
crociato, contro cui i miliziani della mezzaluna hanno lanciato una guerra che
dev’essere di attacco continuo, fino a schiacciare l’avversario. Il sindaco di
una Londra stordita, Sadiq Khan, la premier di una nazione barcollante, Teresa
May, pur nella boria dell’Impero che fu, possono rappresentare l’immagine del
politico occidentale ubriaco fra eventi che non governa più. Come i colleghi di
un Occidente che fra comprensione, mediazione, chiusure, parziali o totali, a
inarrestabili flussi migratori, mostra soprattutto l’inefficacia d’un sistema politico-economico
che poco integra e tanto scava in diversità sociali, alternando ghetti a
scatole cinesi dove la convivenza fa a pugni con le tradizioni che ciascuna
etnìa, fede, comunità considera irrinunciabili. Ovviamente c’è chi lavora per un
dialogo, di per sé difficilissimo, ma è una minoranza. Perché tanti dei
presunti incontri, rapporti, dialoghi, aperture ruotano esclusivamente attorno
al business che oggi unisce, domani può dividere. Mentre la macro storia parla
il burocratese diplomatico di facciata, che quando non s’accorda sfocia in contrasto
senza soluzione di continuità, le teorie degli untori dello scontro fra
civiltà, sui media mainstrem ne siamo assediati, forniscono carburante ai
combattenti di un odio che deve diffondersi. E non potrà che proseguire se
tutto, come sembra, resta invariato.
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