“… Beh, insomma, è successo questo: uno dei nostri comandanti di base
ha... ha... ha... ha avuto come... beh, insomma, gli è girato il boccino. Beh,
sai, è diventato un po'... strano, e... Insomma, ha fatto una sciocchezzuola...
Ecco, adesso ti dico cosa ha fatto: ha ordinato ai suoi aerei di venirvi a
bombardare…”
(Il
dottor Stranamore, Stanley Kubrik, 1964)
Stranamore-Trump lancia
l’ennesima sfida al mondo. Fa sganciare la superbomba Moav verso Momand Dara,
distretto di Achin, fra Jalalabad e Peshawar a ridosso delle turbolente Fata. Il
motivo è la presenza di tunnel dove i combattenti jihadisti trovano rifugio, sebbene
in tutta una vastissima area talebani di varie componenti, compresi i
dissidenti del Khorasan che da oltre un anno si rapportano all’Isis, girano
alla luce del sole e controllano quello e altri territori. Anche in
quest’occasione il presidente statunitense compie un gesto simbolico, fra
l’avvertimento e la sfida, lanciato verso Pyongyang e al suo dispotico leader
maximo. Un avvertimento che coinvolge lo stesso colosso cinese che di quel
Paese è un tutore a distanza, seppure imbarazzato dalle manìe di grandezza di
Kim Jong-un. Ma rispolverare la Corea nell’immaginario geopolitico statunitense
ha un valore preciso che si coniuga con due concetti mai tramontati nella testa
di chi pensa che l’America sia non sono first, cioè in cima ai pensieri del suo
conduttore del momento, ma anche la potenza indiscussa del mondo. Quei concetti
riguardano militarismo e imperialismo e fanno parte dello spirito statunitense
da diverse generazioni. Quelle passate appunto per il 38° parallelo, e poi
ereditando le ex guerre coloniali e inventandone di nuove: Viet-nam,
Afghanistan, Kuwait, Iraq e dovunque tutto ciò possa incentivare l’uso delle
armi (prima industria mondiale) nell’uso pratico o in quello di deterrenza.
Ovviamente gli Usa sono
in buona compagnìa perché altre potenze per tutto il ‘Secolo breve’ hanno
seguìto la sciagurata via dell’aggressione. Ma il Paese dei coloni che sono
diventati padroni del mondo, passando dalle colt alle bombe atomiche grazie a
un uso criminalmente mirato della rivoluzione industriale e di una tecnologia
rampante diventata tecnocrazia, rappresenta una realtà storica con cui la
Storia deve fare tuttora i conti, specie se i rigurgiti d’un cieco egocentrismo
tornano a indirizzare le menti. Che il politico Trump fosse un agitatore e non
uno statista, era chiarissimo sin dal momento in cui l’out-sider su cui nessuno
puntava un dollaro cominciava a farsi strada e far fuori i candidati ufficiali
e “presentabili”. Nel proprio schieramento e in quello avversario. Ovviamente
quest’ultimo termine è l’eufemismo con cui la democrazia americana si dà un
alibi di alternanza e differeziazione. Anche ora, come in tante altre occasioni,
le lobbies economiche e le caste militari conducono le danze della politica
statunitense interna e internazionale. Non solo quando servono riferimenti
concreti di carattere tecnico, ma quando questi scavalcano altre considerazioni
e diventano motore portante. Basti pensare a quel che è accaduto negli ultimi
anni sul fronte energetico con la pratica del fracking, devastazione ambientale
messa al servizio del profitto. Ora nel poligono di tiro che continua a essere
la tormentata terra afghana, altri signori della guerra, e delle armi, mostrano
la propria potenza fatta di undici tonnellate di tritolo. Cavalcano la bomba,
rilanciano la Guerra fredda. Sembra che se settant’anni siano davvero trascorsi
invano.
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