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lunedì 6 marzo 2017

Erdoğan: I divieti tedeschi odorano di nazismo

Il battibecco a distanza fra Angela Merkel e Recep Tayyip Erdoğan sta allargando l’orizzonte e rischia un attrito diplomatico di più ampie proporzioni. Ieri il presidente turco ha agitato lo spettro del nazismo, lanciando pesanti accuse all’intero establishment tedesco, a suo dire responsabile del divieto (seguito a quelli già espressi da Olanda e Austria) rivolto a membri dell’Akp di tenere incontri con gli immigrati turchi in Germania sul tema del referendum sul presidenzialismo previsto per il prossimo 16 aprile. Si tratta d’un elettorato che sfiora i tre milioni di cittadini, e ha un peso in ogni consultazione. Parlando a Istanbul Erdoğan ha chiesto retoricamente se le autorità di Berlino pensano con questa misura di favorire il fronte del No, ma soprattutto ha dato fondo a un attacco polemico: “La Germania dovrebbe sapere che il suo attuale comportamento non è diverso da quello del periodo nazista”. Il ministro degli Esteri tedesco Gabriel, che fra due giorni dovrà incontrare l’omologo turco Çavușoğlu, ha cercato di stemperare i toni, sostenendo che la profonda amicizia e i reciproci interessi (economici) che legano i due Paesi non possono permettersi cadute d’odio. Ha, comunque, sottolineato che i politici di Ankara desiderosi d’intervenire in terra tedesca, devono rispettare leggi,  princìpi e decenza.
Materia scatenante era stata il ministro turco della Giustizia Bozdağ, cui una municipalità del sudovest germanico aveva revocato il permesso di tenere un comizio sulla materia referendaria fra i propri connazionali lì presenti. Secondo il ministro stesso quell’impedimento era stato deciso ben più in alto, dai poteri federali e forse dall’Intelligence, la neanche molto velata insinuazione del politico è che questa struttura anziché collaborare col governo turco, chiuda un occhio su immigrati della comunità kurda sospettati di terrorismo. Ma contrasti fra le due nazioni sono cresciuti attorno al recente arresto di Deniz Yucel, reporter della testata Die Welt e cittadino turco-tedesco, accusato di attentato alla sicurezza della nazione turca, un refrain che caratterizza il repulisti condotto in prima persona da Erdoğan dal giorno seguente il tentato golpe del 15 luglio scorso. Del caso ci siamo occupati qui (http://enricocampofreda.blogspot.it/2017/02/caso-yucel-le-vendette-del-sultano.html) e la vicenda, nient’affatto sanata, avrà sicuri strascichi. Rammentiamo che carezze e minacce fra i due statisti erano già comparse in occasione del piano sui profughi siriani che vide la Cancelliera parlare a nome dell’Europa, preoccupandosi sia di nazioni fuori dal suo controllo (non solo l’Ungheria di Orban, ma la stessa Austria che ama Hofer) che delle “democratiche” solo a parole.

L’Unione preferì pagare dazio alla Turchia perché diventasse l’area di parcheggio dei flussi migratori che da est seguivano la rotta balcanica. Erdoğan alzò il prezzo dell’accordo, per agguantare euro (3 miliardi che sarebbero raddoppiati) e nuovi crediti politici. Un capitolo parzialmente chiuso, più per la diminuzione dei profughi, dopo l’accordo seguito allo straziante assedio di Aleppo, che per soluzioni definitive. Visto che tanti campi profughi sono in condizioni disperate e recenti reportage, che non si sa se saranno più permessi dalle autorità turche, mostrano precarietà e abbandoni simili a quelli conosciuti nei ghetti della “giungla di Calais”.  L’accusa è che Ankara incassi i fondi europei, spendendo poco e niente per l’assistenza reale alle persone lì ammassate. Ai giornalisti della stampa estera che “impudentemente” mostrano simili carenze e vergogne la polizia turca in divisa e in borghese sequestra camere e passaporti, è accaduto giorni fa. Poi il maltolto viene  restituito, ma segue l’invito a non ripetere simili lavori. Se la dissuasione, perpetuata con la persecuzione che l’informazione interna subisce da mesi, non dovesse bastare gli agenti del Mıt rinfrescano la memoria, forti di quel che il presidente grida in casa e fuori.

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