L’ultimo volto mostrato dal terrorismo macellaio
dell’Isis è quello del gruppo di ragazzi perbene, magari un po’ viziatini dalle
famiglie d’origine, che gli avevano riservato agiati studi in costose scuole
private, e ne preparavano un piazzamento sociale privilegiato. Quei genitori,
tutti al top della carriera e appartenenti all’élite del Paese, sono rimasti
scioccati nell’apprendere che i propri rampolli si fossero trasformati nei
sanguinari assassini immortalati davanti alla bandiera nera del Daesh.
Risultassero i massacratori di persone che semplicemente non sapevano recitare
alcun versetto del Corano, fossero diventati odiatori seriali degli stranieri
presenti nelle loro città. Così la via del furore percorsa in tutto il mondo
dai fanatici seguaci di Al Baghdadi acquisisce un’ulteriore variante: quella di
chi uccide per moda, imitando i terroristi. In realtà quest’ipotesi, avanzata
proprio da alcuni giornalisti del Bangladesh che hanno rivelato i pedigrée dei
ragazzi del sangue, è contestata da analisti specializzati.
Costoro non escludono affatto il reclutamento di
nuove leve jihadiste fra le componenti sociali di classi medie ed elevate,
com’è già accaduto coi miliziani qaedisti. Certo le foto postate fra i social
media, da quella che è diventata una sorta di ufficio comunicazione del gruppo
fondamentalista, non lasciano dubbi: ogni volto sorridente sotto la kefiah e l’arma
imbracciata, sembra indicare
un’appartenenza. Quanto tale adesione sia frutto di scelte sentitamente ideologico-religiose
o quanto sia un passo tragico per le conseguenze di terzi prima che di se
stessi, sarà tutto da scoprire. Bisogna, insomma, comprendere se sgozzare
l’infedele o lo straniero stia diventando un gesto identitario che si compie
più per imitazione che per profonda convinzione. Come talune devianze che non è
forse neppure il caso di definire mode, seppure tendenze malauguratamente lo
sono, di cui la psicologia studia la pandemia mentale. E ciò accade
anche per attitudini distruttive legate a costumi, tradizioni e altro, se
pensiamo alla violenza di genere.
Ma questo caso, seppure fosse ispirato dal ‘così
fanno i jihadisti’, lega la sua aberrazione a quella ricerca del bel gesto e
della bella morte che altre epoche e altre latitudini, a noi prossime, hanno
cosciuto. Senza dimenticare il confine che passa fra il gesto eroico per una
finalità, che in Occidente come in Oriente si contorna di gloria, e la
sciagurata autoreferenzialità di chi sostiene di immolarsi per altri senza che
costoro lo richiedano, né ne riscontrino benefici. Il terreno dell’Eroismo con
la maiuscola è ampiamente scivoloso. Parecchie ideologie l’hanno utilizzato per
scopi non elevati, sfruttando la buona fede e l’idealità dei protagonisti. Oltre
che la giovinezza, che ovviamente è sempre energetica. Di solito lo sviluppo
storico delle vicende ripropone nel tempo una lettura ponderata degli avvenimenti,
riuscendo a distinguere fra scelte e gesti eroici e operazioni infingarde e
tutt’altro che gloriose. Qualsiasi sia stata la spinta del gruppo di Dacca, i
contorni appaiono per ora apertamente disumani, come quelli delle stragi
continue, da Istanbul a Baghdad.
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