Accanto alla morte resta il giallo delle
responsabilità, perché l’Osservatorio siriano per i diritti umani afferma che
nella notta fra sabato e domenica scorsi otto persone sono state uccise da
guardie di confine turche: quattro donne, tre bambini, un uomo. Ankara nega
sdegnosamente e apre un’inchiesta fra i propri militari posti a controllare il
confine meridianale della provincia di Hatay, un lembo che s’insinua fra
l’entroterra siriano e il Mediterraneo, ipermilitarizzato anche per la presenza
di minoranze etniche (alawiti, armeni). Altre notizie circolate negli ambienti
degli aiuti ai rifugiati riferiscono un numero di morti addirittura superiore,
undici, e dovrebbe trattarsi di una o due famiglie che cercavano di penetrare
in Turchia, ovviamente in condizione di clandestinità. Il risentimento del
governo Yıldırım, all’unisono col presidente,
riguarda il ruolo di contenitore che il Paese sta svolgendo sulla tragica
vicenda dei profughi siriani parcheggiati in territorio turco. La politica interna,
e l’esecutivo su tutti, reclamano l’importanza dell’azione svolta. In recenti
discorsi Erdoğan ha ricordato all’Unione europea, e Angela Merkel in
particolare, di assolvere l’accordo sull’emergenza dei rifugiati siriani che i
governi del vecchio continente hanno totalmente delegato in cambio di sei
miliardi di euro di finanziamento per la gestione di quei campi profughi.
Denaro finora non riscosso.
La Turchia risulta, dunque, debitrice e continua
a subìre ingressi d’ogni genere, anche clandestini, verso i quali le direttive
sono: impedire accessi illegali. Certo l’uso delle armi era stato finora
dissuasivo, con colpi sparati in aria in presenza di assembramenti di massa riottosi
alle misure imposte, come quelli visti lungo la rotta balcanica sul confine
ungherese e macedone. I corpi emaciati ed esangui di persone deboli come
bambini e vecchi, avevano conosciuto l’insulto delle manganellate o degli
sgambetti vigliacchi, non ancora pallottole letali. Sembra giunta anche
quest’ora. Che somma dolore al dolore già diffuso con le frequentissime morti
in mare per i ripetuti naufragi avvenuti nelle rotte dell’Egeo e del canale di
Sicilia. Del tristissimo episodio si stanno occupando agenzie di sostegno ai
rifugiati. In realtà già negli anni scorsi s’erano ascoltate informazioni su
una sorta di ‘tiro a segno’ rivolto agli sfollati che cercano solo di sfuggire
ad altri colpi, quelli del conflitto siriano. Trattenere con ogni mezzo i
flussi dei disperati diventava dal 2014 un obiettivo, ma il sanguinario
conflitto siriano, con stragi di civili ripetute a opera di vari contendenti,
non ha mai fermato una fuga della popolazione che ha assunto dimensioni
ciclopiche.
I dati devono essere aggiornati, mese dopo mese,
da parte delle agenzie Onu (Unhcr) e di Ong che s’occupano di assistenza. Nello
scorso marzo si calcolavano attorno ai 14 milioni i siriani che avevano
abbandonato le proprie abitazioni, o perché distrutte come nelle varie città
scheletrizzate dai bombardamenti (Aleppo è uno dei simboli, ma la stessa
Damasco ha subìto pesanti distruzioni e allontanamenti di cittadini) o perché
cercavano di sfuggire a una morte sotto le bombe d’ogni provenienza. Nove
milioni sono gli sfollati interni, circa cinque milioni sono transitati,
prevalentemente dal confine turco. Tre milioni sono ufficialmente accolti nei
campi profughi creati su quel territorio di confine, altri in Libano (un
milione) e Giordania (630 mila), i restanti hanno guardato l’Europa. Un numero
tutt’altro che clamoroso - 348 mila - sostenevano le cifre di fine 2015.
Certamente l’ondata di trasferimento forzato è senza precedenti, rispetto a
flussi migratori forzati da situazioni disperate di guerra e bisogno o speranza
che s’erano verificate negli anni passati: i più recenti del 2012, all’inizio
della crisi siriana, o a fine anni Novanta da parte di afghani in fuga dalla
guerra civile interna e dal regime talebano. Oppure con le trasmigrazioni,
tuttora in corso, dai Paesi sub sahariani, fino a citare i viaggi della
speranza degli albanesi a inizi anni Novanta. Ma le vere invasioni, sostengono
i demografi della geopolitica, potranno essere molto più corpose. C’è che pensa
di dissuaderle a colpi di mitraglia.
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