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martedì 2 febbraio 2016

Dacci oggi il nostro sangue talebano

Più che fratelli d’Italia talebani italiani, visto che l’uomo del civilissimo Paese occidentale, teorizzatore della famiglia vecchio stile, ripropone ora, nel Terzo Millennio, una donna talmente oggetto buona da accoltellare, sgozzare, bruciare secondo i modelli più retrivi della cultura dei patriarchi. Diciamo anche sgozzare perché accade, un’azione che fa ribrezzo nella vita prima che in politica, associata a quel fanatismo a cavallo fra pseudo interpretazione religiosa e pratica militante, e che egualmente insanguina occidentalissime mani. In tale comune mondo l’alterità femminile esiste solo in subordine del potente-padrone. Il nostro vivere, che si fa vanto di civiltà, serba una cultura inumana lì dove il “gentil sesso” è proprietà di famiglie, genitore, consorte, consanguinei. Era così e continua a esserlo, come in altri angoli della terra. Né più né meno. Nello scontro di civiltà in cui i teorici del buon vecchio continente affilano armi dialettiche contro la barbarie proveniente dal sud del sud del mondo, e dalla la sua vasta riserva orientale, il sapientissimo intellettuale di sostegno ai poteri che devono contare, distingue e castiga. Dicendo noi e loro.

Noi e loro, possono dirlo Carla e Farkhunda. Mettendo di qua il proprio genere, sull’altra sponda i maschi che ne limitano l’essenza e l’esistenza. Non può sbandierare la diversificazione l’emancipatissima Italia che accetta l’omicidio in casa e lo stupro singolo o di branco in discoteca. Ovviamente la legge non lo permette, anzi lo castiga, come in Afghanistan l’Elimination of violence against women punisce, punirebbe, il maschio profittatore di genere. Però la norma che conta è quella applicata e l’evasione di fronte alla legge è data dalle regole non scritte, quelle comportamentali. Per le quali il sopruso resta radicato e incistato se tutto attorno tace, se collusione, passiva accettazione, minimizzazione di quest’insulto esistenziale ricorrono e si rincorrono. Se il garantismo istituzionale imperante nello Stato delle buone intenzioni che protegge Caino più di Abele ha la meglio la beffa è doppia anche per quelle voci che urlano lo sdegno. Nell’assoluta certezza che la condanna sarà nulla o lieve, il maschio assassino continua ad arrossare ogni alcova e pianerottolo, scivolando subdolo finanche nelle camere dell’amata prole. A Roma come a Kabul, con o senza turbante.

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