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martedì 15 dicembre 2015

Diyarbakır, morire di coprifuoco

Şiyar Salman e Şerdıl Cengiz erano due giovani del distretto di Sur, diciannove anni il primo, ventuno il secondo. Sono morti ieri di coprifuoco, presso Diyarbakır. Colpiti da proiettili “vaganti” come l’avvocato dei diritti Tahir Elçi, freddato a sua volta durante una conferenza stampa tenuta giorni addietro all’aperto, sotto lo storico minareto della città. Elçi denunciava l’insostenibile situazione d’una Turchia schiacciata proprio dalle massime figure politiche nazionali - presidente e premier - ritenute responsabili del clima di terrore che si vive da mesi. Come lui migliaia di attivisti e cittadini kurdi delle province del sud-est protestano contro la sequela dei coprifuoco che si susseguono dalla metà di agosto. Il distretto di Diyarbakır ne ha subìti più di trenta, quello di Mardin nove, Şirnak cinque, poi ce ne sono stati ad Hakkari, Muş, Batman, Elaziğ, sono state coinvolte oltre un milione e trecentomila abitanti, sono state spezzate decine e decine di vite. Proteste, presidi, tentativi manifestazione vengono continuamente attaccati da polizia e dai militari che occupano quelle aree anche con mezzi pesanti come carri armati; questi in più di un’occasione hanno anche sventrato abitazioni in taluni villaggi. A Nusaybin, nella provincia di Mardin, ultimamente ben diciassette cittadini sono stati assassinati durante operazioni repressive.

Eppure la popolazione continua a sfidare il regime monocolore dell’Akp che, ritemprato dal successo elettorale e nonostante i molti problemi sul fronte estero, sceglie di applicare una linea durissima verso qualsiasi contestazione di piazza. Le piazze kurde, poi, sono nel mirino di reparti antisommossa e probabilmente di cecchini, già in altre fasi utilizzati per seminare morte. Ieri la marcia di Diyarbakır, sostenuta da uno dei quattro grandi partiti presenti in Parlamento, l’Hdp, è stata attaccata con la ferocia diventata “ordinaria” gestione d’un ordine pubblico trasformatosi in divieto assoluto di espressione organizzata. Dai gas lacrimogeni ai cannoni ad acqua la polizia è passata ai colpi d’arma da fuoco, scontrandosi coi militanti del Movimento giovanile patriottico rivoluzionario (YDG-H). I genitori degli uccisi hanno lanciato parole infuocate contro una Turchia privata della legalità, imbarbarita da un ritorno al conosciuto fascismo. Quindi il padre di Cengiz ha attaccato direttamente Erdoğan definito “leader dell’Isis”. “Lui stesso (Erdoğan, ndr) ha coinvolto l’Isis nello scontro col popolo kurdo e gli fa uccidere i nostri figli”. Il riferimento è agli attentati di Suruç e Ankara i cui esecutori risulterebbero legati al Daesh. Stamane le esequie dei due giovani sono state seguite da migliaia di persone e i feretri accompagnati in corteo al cimitero di Yeniköy dove la folla si è radunata, controllata a distanza dalla polizia. La tensione continua a essere elevatissima.

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