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martedì 24 novembre 2015

Kabul, mani sulla città. Dopo i furti bancari arriva Smart-city

In quella municipalità di Kabul chiamata Shahrak-e Hoshmand, sorta e ora ampliata lungo la via che conduce all’aeroporto - cittadella-bene definita ‘Smart city’ dai signori che se ne intendono - è recentemente comparso mister Khalilullah Ferozi. Per chi ha conoscenza e memoria si tratta d’un elemento (l’altro era Sherkhan Farnood) vicino al clan Karzai. I due furono posti ai vertici della Kabul Bank che nel 2010 registrò scandalosi ammanchi in base a una conduzione di doppia contabilità. Saccheggiando il maggior istituto di credito del Paese per un miliardo di dollari, Ferozi e Farnood arricchivano alcuni partner d’affari, se stessi e i loro padrini politici. Oltre al presidente riceveva fondi il vicepresidente Fahim. Ovviamente i due erano lindi, le tangenti le intascavano i rispettivi fratelli: Mahmud Karzai e Hassin Fahim. Il funzionario dei loschi affari - dopo aver scontato pene minime e domiciliari per i grossi ammanchi che s’estendevano agli elargitori internazionali di denaro, Stati Uniti in testa - riappare nella ‘località dei furbetti’ in veste di azionista.
Prevede di ampliare l’edificazione e propone standard abitativi per la classe media con tre, quattro e cinque stanze per ben 8.800 appartamenti. Nel circondario sono previsti market, giardini, uffici, cliniche, e una moschea. Tutto realizzato dalla ditta di costruzioni Wardak (di Nabizada o Abdul Bari), con la supervisione e la garanzia economica di Ferozi. Avvio del progetto: 95 milioni di dollari, cifra finale 900 milioni. Un business definito “molto prezioso” da tal Zia Massud, consigliere speciale per il Buon Governo (proprio così…). Prezioso sembra esserlo per costruttore e finanziatore: la vendita giungerebbe a 1000 dollari a metro quadro, invece dei 400 realistici; il governo intascherebbe solo 50 dollari a metro quadro. Eppure gli apparati statali lodano la presenza di Ferozi come il positivo segnale di recupero di centinaia di milioni di dollari scomparsi dalla circolazione anni addietro. Quelli che i rumors indicano come denaro legato agli azionisti della Kabul Bank. Di fatto si reintroducono, sotto forma d’investimento edilizio privato, milioni di dollari sottratti alla banca, e si permette nuovamente di specularci su.

Eufemisticamente il governo lo definisce “un meccanismo d’incoraggiamento”, Ferozi fa il bravo sostenendo che pagherà le tasse e il ministero intascherà 75 milioni di dollari. Eppure uno dei punti della linea anticorruzione dell’attuale presidente Ghani metteva in primo piano il caso della Kabul Bank e dei suoi attori, che avevano direzionato parte della liquidità sparita verso aziende controllate da loro stessi. Esempi illuminanti sono la Pamir Air, compagnìa aerea di cui Farnood è tuttora presidente, che intascò 89 milioni di dollari dal saccheggio. Mentre la Gas Group, acquisita dal citato Hassin Fahim, ne incamerò 121 milioni e  continua a ricevere commesse dall’attuale esecutivo per i rifornimenti statali. Insomma il governo, tramite il ministro dello sviluppo urbano Naderi e il consigliere legale Muhammadi, sotto la maschera del pragmatismo che privilegerebbe il recupero del denaro, si fa beffa di qualsiasi rispetto della legalità. Come nel passato: porte aperte al denaro sporco e ai truffatori d’ogni risma per un Afghanistan che non deve cambiare.

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