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mercoledì 18 novembre 2015

Fuga dalla Kabul degli affari

Fugge anche la gioventù dorata plasmata per il sostegno alla “classe dirigente” afghana. Giovani formati presso l’Università di Kabul oppure spediti a studiare direttamente negli States per essere inserirti nella locale macchina amministrativa. Il volto immacolato del sistema corrotto voluto da americani ed europei. Quei ragazzi ci credevano, s’avvantaggiavano dello status sociale: casa di proprietà nei recenti edifici abitati dalla casta di burocrazia e affari, duemila dollari al mese che per venti e trentenni locali rappresentano una fortuna. Riuscire a vivere nel proprio Paese devastato in certe condizioni di privilegio, costituiva un sogno per pochissimi. Avevano riposto speranze nel presidente ammaliatore e gentile, quell’Ashraf Ghani che proveniva dalla Banca Mondiale ed è la quintessenza del disegno statunitense di “stabilizzare” una nazione privata della libertà e posta sotto la propria tutela. Eppure in quello Stato prigioniero del business della guerra imperialista e del fondamentalismo - quest’ultimo secondo i casi, nemico o alleato di governanti corrotti - non vogliono più vivere neppure i beneficiati.
Lo narrano a The Guardian Farid e Rafi.  Venticinquenne il primo, occupato per un periodo presso strutture vicine alla Banca Mondiale nella provincia di Kapisa; trentenne l’altro, impiegato per sette anni per un’azienda locale inserita nel circuito della cooperazione internazionale, entrambi non hanno più sopportato e sono fuggiti. Per la paura del presente, fatto di bombe e talebani ovunque, di truppe Nato ancora lì, di nuovi istrioni e vecchi signori della guerra, accanto a un futuro annebbiato e intossicato. Anche loro, i privilegiati, finiscono nelle statistiche dei  richiedenti asilo per l’Europa (prevalentemente in Germania) che da gennaio ad agosto scorsi hanno segnato 123.000 domande, più del doppio del 2014. Sono quasi tutti giovani uomini che non vogliono finire massacrati come i parenti durante la guerra civile del quadriennio 1992-96 (fra i 60.000 e 80.000 morti) oppure vittime della missione Isaf (oltre 200.000 civili uccisi direttamente o per ‘danni collaterali’). Frattanto il mercato nero della migrazione ha fatto lievitare le spese.

Oggi un viaggio (via Nimruz), che tempo addietro s’aggirava sui 4000 dollari, ne costa 7000. Un volo verso Teheran e il proseguimento via terra 9000, cui si devono aggiungere 2000 dollari se si vuole volare a Istanbul. Poi ci sono le incongruenze mostrate da tutti i Paesi membri dell’Unione Europea. Quando i fuggiaschi sono nei luoghi d’origine, parecchi governi usano per loro il termine rifugiato, promettendo aiuto e integrazione. Successivamente la realtà può trasformarsi e mostrare comportamenti ben diversi. Non solo in Ungheria. I due intervistati hanno testimoniato che, fra i vari gruppi di dieci persone visti trasmigrare per l’Iran, gente giovane e fisicamente in salute, solitamente tre-quattro venivano bloccati dagli agenti  di frontiera e ricacciati indietro. Cosa che ormai può accadere anche nella successiva tappa turca, poiché la polizia è diventata molto meno tollerante d’un anno fa. Eppure il rischio va corso: la situazione afghana è nient’affatto sicura, non solo non c’è futuro, anche il presente stenta. Povertà e addirittura fame diventano uno spettro generale. Ghani, il seduttore, li ha traditi. Loro non dimenticano.

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