Obama ha ordinato
ai reparti americani di restare in Afghanistan per tutto il 2016. Cosa ne pensa
il vostro partito?
Siamo coscienti che gli americani resteranno
sulla nostra terra, hanno interessi geostrategici ed economici. Basti pensare
che le nuove basi sorgono in aree che loro hanno affittato da privati o dallo
Stato per novant’anni. Se dovesse andar male le prossime tre-quattro generazioni
di miei compatrioti dovranno fare i conti con questo panorama.
Qual è la
valutazione che Hambastagi dà dell’anno di presidenza Ghani cogestita con
Adbullah?
Nonostante Kerry (il Segretario di Stato Usa che
s’è speso per questa soluzione, ndr) lo definisca un governo di unità
nazionale, l’attuale è un governo fantoccio, come i due precedenti di Karzai.
Non può privarsi del sostegno finanziario e militare occidentale. Noi lo
definiamo “governo del terrore” perché negli ultimi mesi la situazione della
sicurezza è peggiorata con lo stillicidio di attentati, la crescente
aggressività talebana cui s’aggiunge quella dell’Isis. L’economia è
inesistente, la povertà aumenta e soprattutto i giovani non vedono futuro. A
loro diciamo: uniamoci per inseguire un programma di pace e democrazia.
Ma unirsi
a chi?
C’è poco all’orizzonte. Per un progetto comune
si devono rispettare almeno tre obiettivi: opporsi all’occupazione straniera,
lottare contro il fondamentalismo politico e religioso, ottenere diritti. So
che nel contesto afghano questa sembra una folle utopia, eppure la nostra
piccola esperienza è indicativa. Il partito Hambastagi è sorto undici anni fa
per iniziativa di attivisti rivoluzionari e intellettuali. Eravamo in seicento
concentrati a Kabul e Jalalabad. Pochi, pochissimi. Oggi contiamo trentamila
militanti presenti in venti province. Riusciamo a organizzare manifestazioni
contro l’occupazione cui, nonostante il timore di attentati, partecipano migliaia
di persone. L’informazione che forniamo sul web è seguitissima, risultiamo 16^
di una graduatoria afghana ma ci precedono solo i
grossi motori di ricerca come Google, Yahoo, You Tube oppure social network
alla Facebook. Sono fiducioso.
I talebani
sono più presenti di voi, operano in 24 delle 34 province del Paese
Sì, anzi ultimamente in venticinque. S’allargano
sempre più e rappresentano l’altra proposta rivolta ai giovani. Gli chiedono di
combattere al loro fianco per una società tradizionale e confessionale. Ecco,
l’odierno Afghanistan è di fronte a questo bivio: accettare passivamente l’occupazione
e lo sfruttamento occidentali o finire fra le braccia dell’insorgenza talebana.
Noi diciamo di cercare un’alternativa laica e democratica a entrambi questi
progetti disfattisti.
Temete più
i talib dissidenti del Khorasan che guardano al Daesh, oppure il gruppo storico
ora gestito da Mansour o ancora i vecchi fondamentalisti come Sayyaf ed
Hekmatyar?
Sono tutti pericolosi nella loro essenza
fondamentalista. Magari possono risultare differenti alcuni metodi più o meno efferati
con cui seviziano le vittime, penso alle decapitazioni attuate dai miliziani
del Daesh che mentre sgozzano filmano i
loro crimini. Di recente ci sono stati allentamenti sul comportamento
oppressivo rivolto alle donne che talvolta vengono lasciate circolare anche da
sole (nell’ultimo biennio lo stesso governo dava ampio spazio a costumi restrittivi,
ndr). Si tratta comunque di mosse create ad arte per illudere la popolazione
sulla bontà dell’attuale approccio fondamentalista. Sayyaf ed Hekmatyar
rappresentano un’enorme minaccia non per l’intera regione. Tanti degli attuali
miliziani dell’Isis, dentro e fuori l’Afghanistan, provengono da esperienze fatte
coi due signori della guerra e i loro partiti (Islamic Party, Hezbi-e Islami,
ndr). Ora anche il Daesh è presente nella nostra vita quotidiana: il
governatore della provincia di Ghazni ha acconsentito che l’Isis aprisse un
ufficio nella zona per fare proselitismo. Da Kabul non sono sopraggiunte
reazioni.
Parlando
di politica del terrore, cosa ci dite di gruppi paramilitari come i Marg, di
cui s’è scritto nei mesi scorsi?
Fortunatamente non li ho visti in azione, ne ho
sentito parlare. Sono elementi ben addestrati che lanciano attacchi all’Isis e
anche alle forze talebane. Marg in persiano significa morte, e costoro non
fanno sconti ai nemici. Chi sia a finanziarli non è chiaro, quando le cose
sfumano in genere ci son dietro le Intelligence, se pakistana o d’altra sponda
non mi sento di dirlo.
Sicurezza,
economia, giustizia, diritti: le promesse tradite delle missioni Nato; quali
settori sono maggiormente mascherati e manipolati dalla politica e
dall’informazione locali?
Tutti i settori elencati sono peggiorati negli
ultimi anni: continuiamo a subire occupazione, oppressione e morte, i talebani
sono presenti in 25 province e creano enormi problemi di sicurezza, la
corruzione è una piaga endemica cui contribuisce la politica occidentale che
offre patenti democratiche ai gaglioffi che ci governano, abbiamo politici
peggiori di quelli italiani (ride). Ma l’aspetto che viene maggiormente
manipolato è la questione femminile, offerta ai media stranieri con un volto
migliorativo e tranquillizzante, che invece è un falso assoluto. La vulgata
afferma che da noi le donne possono lavorare e studiare. Bugie. La realtà è
quella apparsa nella vicenda di Farkhunda, massacrata in strada per tre ore di
seguito senza che nessuno la difendesse.
L’emancipazione
politica afghana è bloccata più dalla presenza militare statunitense o dal
business del sottosuolo cinese e occidentale?
L’occupazione americana è l’ostacolo maggiore;
nonostante dicano di offrire un fondamentale contributo al nostro domani, gli
Stati Uniti non hanno mai creato alcun servizio. Non costruiscono strade, né case,
né dighe, né ospedali, e distruggono quelli realizzati da altri, com’è accaduto
alla struttura di Medici senza frontiere. Non conosciamo fabbriche né università
create da Usa e Unione Europea, i cui politici visitano i propri militari e le
leadership locali. Hanno costruito e reso operativo solo quello di cui hanno
bisogno: basi aeree per controllare e bombardare.
I vostri
campi d’azione - con la preziosa attività rivolta alla gente tramite scuole,
orfanotrofi, rifugi - si sono ristretti. Il rapporto con la popolazione ne
risente?
Sì, purtroppo la crescente situazione di
conflitto limita parte del lavoro sociale, per motivi di sicurezza. Ma, come ho
detto, i riscontri organizzativi del partito sono lusinghieri, ormai veniamo
ben identificati dalla gente. Anche i media prestano attenzione alle nostre
iniziative, non parlano più di generiche proteste di cittadini, citano la
nostra organizzazione. Ci viene anche richiesta una presenza nei dibattiti
televisivi, perché su taluni problemi non si può ignorare il lavoro che
facciamo. Ci auguriamo di poter continuare.
Siete impegnati
contro l’imperialismo statunitense, siete solidali coi kurdi di Kobanê per
l’affermazione d’una nuova soggettività politica basata
sull’autodeterminazione, ma qualcuno vi accusa d’essere anticomunisti. Come rispondete?
E’ strano ascoltare questo. Il governo afghano, i
fondamentalisti, i militari Nato ci chiamano comunisti. Certo noi non ci
definiamo tali, ci collochiamo in un’area democratico-progressista. Se un
giorno ci accorgeremo che il riferimento ideologico marxista può adattarsi alla
lotta e agli obiettivi che ci poniamo, potremo inserire questo termine nel programma.
Sicuramente non ci consideriamo anticomunisti, è la prima volta che lo sento in
Europa! I contatti internazionali con la sinistra europea (Die Linke, l’italiano
Sel, comunisti olandesi e svedesi) ci fanno bollare come sovversivi. Gli unici
ad aver usato quest’espressione sono dei fuoriusciti afghani risiedenti in
Canada che ci accusano di opportunismo. A loro diciamo di venire a lavorare
politicamente in Afghanistan anziché esprimersi sui computer a migliaia di
chilometri di distanza.
Ma i partiti
della sinistra vi offrono qualche sostegno?
Economico no. Questo lo riceviamo solo da talune
Ong di vero volontariato. Otteniamo solidarietà politica, che in alcuni casi
può risultare utilissima. Quando nel 2012 Karzai aveva bloccato la nostra
registrazione come forza politica, tutte le lettere di protesta inviate a lui e
all’Onu da varie organizzazioni (della sinistra e comuniste) tedesche,
spagnole, italiane, pakistane sono servite per farlo recedere dall’iniziativa. Anche
questo è un aiuto alla nostra causa.
Ahmed Ubaid, è nato a Kabul 32 anni fa. Durante il periodo
della guerra civile afghana è riparato coi familiari in Pakistan. Ha trascorso
alcuni anni nel campo profughi di Peshawar. Rientrato nel suo Paese dopo il
governo talebano s’è dovuto misurare con l’occupazione occidentale. Ha lavorato
a lungo con Hawca, ong afghana impegnata nella creazione di rifugi per donne
violentate e maltrattate, diventandone vicepresidente. Da due anni ha
abbracciato ufficialmente la politica entrando nel direttivo del Partito della
Solidarietà, di cui è membro. Per quest’impegno pubblico nel 2014 è stato anche
arrestato dall’allora amministrazione Karzai.
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