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domenica 7 giugno 2015

Le elezioni turche parlano kurdo

E’ accaduto - La corsa del sultano si ferma, dopo tredici anni, stoppata dal blocco democratico popolare messo su dal partito filo kurdo del Bdp allargato ad altre forze della sinistra. Kurdi e turchi, insieme contro l’autoritarismo dell’uomo che voleva farsi Stato e popolo, più di Atatürk, nel nome di Allah. L’Hdp di Demirtaş supera ampiamente un’asticella altissima, posta dal sistema elettorale al 10%. Vola più in alto, oltre il 12% strappando 78-80 deputati, quelli che un Akp, ridotto per la prima volta a meno del 41%, avrebbe incamerato in caso di mancato quorum dell’opposizione. Con quei seggi il partito islamico avrebbe superato la fatidica cifra dei 330 parlamentari chiudendo ogni partita: nuovo governo monocolore e soprattutto nuova Costituzione, scritta in totale solitudine, senza prostazioni pluraliste. In perfetta consonanza con lo spirito erdoğaniano: l’uomo del destino, il padre della Patria decide per tutti mentre i sudditi applaudono. Questo film non verrà proiettato in nessuna piazza turca. Né in quella ancora impregnata di sangue di Diyarbakır, che come tutte le province filo kurde del sud-est l’hanno impedito con le solite percentuali a grandi cifre, né in altri luoghi che hanno reso possibile la novità assoluta: una doppia cifra a livello nazionale che spalanca allo schieramento le porte parlamentari.
Due avanzate - Mentre i repubblicani del Chp hanno riconfermato un 25% e restano il secondo partito, un’avanzata la compie la destra nazionalista del vecchio Bahçeli segnando un 16% che frutta 83 deputati. Tenete a mente i numeri, perché serviranno nei prossimi giorni a capire gli sviluppi della situazione. Quando un rancoroso presidente, non più in odore di presidenzialismo, dopo consultazioni di prammatica potrà offrire al partito di maggioranza, ormai relativa, l’incarico di formare un esecutivo. Magari se l’incarico toccherà all’ex premier Davutoğlu, il suo sorriso sornione non farà trasparire emozioni; ma al li là delle maschere questo voto dice una cosa chiara e netta: il sultano è nudo. Troppo Erdoğan aveva puntato su tale scadenza, invadendo un campo che sentiva già suo e ponendosi, nel corso della campagna elettorale, in prima linea nella contesa anziché incarnare in maniera più misurata, se non proprio super partes, il ruolo che sta ricoprendo: la presidenza del popolo turco, tutto il popolo anche quello di linea kemalista, e l’altro popolo (kurdo) che la patria turca disconosce definendolo ‘i turchi di montagna’ e senza dimenticare le altre minoranze. Il cammino futuro impone all’Akp di trovarsi un alleato a sostegno d’un programma che non ha grandi affinità con nessun’altro.

Scenari – L’unica ipotesi che appare attualmente impraticabile è un governo delle opposizioni (repubblican-nazionalista-kurdo). Se non si vuole nel giro di due mesi tornare alle urne - e vista la tendenza in atto solo un folle penserebbe di cavalcare un trend sfavorevole rilanciando la sfida elettorale - gli islamisti devono lavorare d’umiltà e diplomazia, cercando un alleato per un governo che effettivamente potrebbe saltare in ogni momento. Il compromesso, solo tattico, può virare a destra verso l’area oscura d’una destra orgogliosa del suo laicismo militarista, che non ama l’Islam politico, ha nostalgìe e smanie golpiste, coccola i “Lupi grigi”, mostra un razzismo di ritorno proprio verso le minoranze etniche. La stessa bomba assassina di venerdì pomeriggio può essere scaturita dall’ambiente eversivo e fascista ancora ben presente in una parte del Paese. Un simile passo aumenterebbe le critiche interne e internazionali a Erdoğan. L’atra ipotesi consiste nel baciare il “demone kurdo”, che stavolta però si presente molto, ma molto più voglioso. Solido nella  posizione di vincitore d’una partita storica, resa tale, proprio dalla boriosa velleità dell’uomo che voleva avere tutto. C’è, è reale, la possibilità che nessuna delle due componenti che portano in dote la quota 80, o giù di lì, deputati riesca o voglia accordarsi al ribasso. Allora le urne riapparirebbero all’orizzonte e forse per l’Islam politico turco, solo tre anni fa in irrefrenabile ascesa, tutto ciò diventerebbe un incubo.

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