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domenica 8 febbraio 2015

Galera Egitto, condanne e nuove stragi

Duecentotrenta condanne a venticinque anni di reclusione sono state comminate dalla Corte Suprema egiziana ad attivisti della protesta anti Mubarak del 2011, alcuni di questi come Ahmed Douma vivono in carcere da oltre tre anni. Mentre il detenuto più celebre della galera Egitto, il presidente deposto Mohammed Mursi, attende fra sei giorni l’inizio del suo terzo processo; stavolta con l’accusa di spionaggio verso il Qatar alla cui Intelligence avrebbe girato documenti riservati in cambio d’un milione di dollari. Mursi è imputato anche in altri processi: per l’uccisione di decine di dimostranti; per una cospirazione internazionale che includerebbe nel piano anche l’Iran; per l’evasione di reclusi che poi attaccarono una stazione di polizia uccidendo tredici agenti. Frattanto nella mattanza quotidiana è tornato il calcio: ieri pomeriggio s’è diffusa la notizia di quattordici tifosi del club cairota Zamalek freddati durante scontri con la polizia. I tumulti erano scoppiati fuori dallo stadio dove si svolgeva una partita della Premier League che, pur aperta agli spettatori, aveva visto la diminuzione di diecimila posti per motivi di “ordine pubblico”.

Un forzoso tentativo d’ingresso dei supporter del club di casa veniva caricato dagli agenti per poi scatenare violenti scontri e l’uso di armi da fuoco. In tarda serata il numero delle vittime saliva a ventidue, stamane supera le trenta unità. Tutti tifosi. Così la complicata ‘normalizzazione’, con cui il regime di Al-Sisi tenta di proporre una quotidianità infarcita anche di sport, s’inimica le curve calcistiche che non avevano dimenticato la strage di Port Said. In quello stadio l’altra formazione cairota, Al-Ahly, lasciò 72 suoi fan senza vita per l’abuso della forza da parte degli uomini in nero del feldmaresciallo Tantawi. E’ un Egitto che reitera, con le stragi e con gli abusi. Sempre in queste ore si diffonde la notizia che il noto tycoon mubarakiano Ahmed Ezz, ex segretario generale del disciolto partito del raìs Nazional-Democratico - la cui sede devastata e annerita dal fuoco è uno degli edifici senza vita nei dintorni di Tahrir - non solo torna in circolazione, bypassando le accuse di corruzione, ma è pronto a rilanciarsi nell’agone politico. Dice di voler condividere con il popolo egiziano il sogno di sviluppo.

E con le elezioni del marzo prossimo spera d’inseguire nuovamente quelle fortune personali che negli anni del fulgore politico del suo protettore gli fruttarono guadagni stratosferici, tanto d’aver di recente barattato i 37 anni di condanna col pagamento di circa 14 milioni di dollari. Uno sull’altro e via andare, in faccia ai sogni di tanti poveri concittadini. Così quel fantasma che continua ad aleggiare nell’immaginario egiziano, perché il suo enigmatico sguardo sopravvive a una carriera oggettivamente tramontata, s’incarna nei volti di chi guarda indietro parlando di futuro. Ha voglia il generale-presidente di parlare di Paese nuovo basato su “giustizia, libertà, eguaglianza e abbattimento della corruzione”. Le assoluzioni concesse al clan Mubarak, al suo sanguinario ministro Al-Adly, correo nella morte d’un migliaio di manifestanti della rivolta 2011, la ripresa dell’assassinio indiscriminato nelle piazze fondono nel medesimo clima restauratore passato e presente. La conduzione degli odierni generali non differisce dai predecessori, collocando il sistema Sisi nella schiera più reazionaria dell’area mediorientale, nonostante lo sdoganamento offerto dai premier d’Europa.

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