Pagine

venerdì 16 maggio 2014

Yusuf e Recep, i picchiatori del pensiero


La politica internazionale, quella in giacca e cravatta, doveva ancora incrociare un addetto alla comunicazione che si comporta in maniera più violenta d’una guardia del corpo, che solitamente ad alti livelli previene e comunque se picchia non lo fa in modo plateale. Il governo Erdoğan riesce a sorprendere anche su questo terreno offrendo un uno-due degno del peggior autoritarismo golpista che la Turchia ha purtroppo conosciuto. Ha iniziato Yusuf Yerkel, aitante consigliere del premier a cui gli anni di studio e la laurea presso la londinese Soas University non hanno insegnato misura, sobrietà e buone maniere. Incurante della folla - che certamente ringhiava addosso all’auto sua, del capo e dell’intero corteo automobilistico giunto nella cittadina mineraria martoriata da una disgrazia in svolgimento - e le riempiva d’improperi, sputi e calci, è saltato fuori dalla vettura. In verità l’ha fatto quando due agenti avevano agguantato un abitante infuriato immobilizzandolo a terra. In quell’istante l’odio di Yusuf è stato ampiamente superiore nello sferrare, zelante e protervo, calcioni all’uomo a terra. Non si curava di sguardi, flash, telecamere puntate sulla sua repressione “fai da te” che sembra essere la nuova linea offerta da un governo che non può più ammantarsi di alcuna moderazione.

Il capo, sostengono alcuni testimoni, da parte sua attuava un’altra punizione esemplare. Questa celata nel piccolo supermarket dove le guardie del corpo, quelle vere, gli avevano consigliato d’infilarsi per sfuggire alle urla rabbiose, agli insulti, e non solo, che volavano sulla sua testa. Lì si trovava anche Taner Kuruca, il quale davanti al negozio aveva manifestato il personale dissenso a un premier che poche ore prima, incurante della tragedia e del dramma delle famiglie, aveva sparso sale sulle ferite sanguinanti parlando dell’ineluttabilità di simili sciagure appartenenti alla storia del lavoro minerario. Storia passata che però,  sull’onda del liberismo propugnato dall’Esecutivo, vede molti imprenditori del settore - fra cui Ali Gürkan, guida della Holding della Soma Kömür İşletmeleri - accaparrare appalti e miniere non occupandosi delle misure di sicurezza. Fra esse le camere dotate di bombole d’ossigeno, dove i minatori possono riparare in caso d’incendio in attesa dei soccorsi. Camere assenti nel sottosuolo di Soma. Le vittime finora contate, e quelle che purtroppo potranno aggiungersi, dipendono anche da tali gravissime inosservanze. Questo gridava la popolazione locale gettandolo in faccia al sultano, che però, come il suo consigliere muscolare, non ama essere contraddetto. Così ha sparato addosso al contestatore la sua versione e nella concitazione è partito un qualcosa fra uno schiaffo e un pugno. Lo stesso malcapitato parla di casualità, la stampa turca, certamente d’opposizione (quella kemalista dell’Hürriyet e quella interna del gülenista Zaman) pensano più a una punizione.  

Casuale o meno, l’intolleranza di Erdoğan è sensibilmente cresciuta e poco s’adatta a un personaggio che,  oscillando fra il consenso dell’urna e l’odio della piazza,  vuole proporsi come il nuovo Atatürk. E’ bastato ascoltarne alcuni  discorsi durante la recente campagna elettorale delle amministrative, peraltro positiva sul versante del voto, per constatare la carica di violenza verbale contro taluni settori che gli creano problemi nella gestione politica interna. Sicuramente i giovani delle realtà urbane di Istanbul e Ankara, gli scontenti di tanto lavoro precario che anche il mercato della tigre anatolica registra. E lavoratori come i minatori totalmente deregolarizzati dal liberismo imperante. Ovviamente i magistrati che indagano sui non trasparenti comportamenti del suo partito al governo. Poi ci sono i kurdi, con cui va avanti da tre anni un balletto d’incontro-scontro che passa per i colloqui col detenuto storico Öcalan. Tanti nemici, molto onore è stato detto. Ma il motto non porta fortuna. Come altre figure di primo piano nella stessa area dell’Islam politico suggerivano, la pacatezza d’idee e gesti doveva essere il biglietto da visita con cui cercare alleanze e benevolenza. Quei consigli, quella linea non piace al premier che punta a essere, presenziare, ingombrare con ogni mezzo. E le sue scelte politiche interne e internazionali sono diventate sempre più battaglie finali da far passare a tutti i costi, forza compresa. Il suo Islam moderato perde quest’aggettivo e c’è chi giura inizierà a perdere anche sostenitori-fedeli. 

Nessun commento:

Posta un commento