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sabato 29 marzo 2014

Elezioni turche, fango mediatico incrociato


Le amministrative che da domani potranno segnare il volto del primato politico in Turchia (Erdoğan proseguirà spedito il cammino di potere o verrà indotto dal suo stesso partito a un pensionamento anticipato al di là della candidatura presidenziale?) hanno visto negli ultimi giorni di campagna elettorale uno scatenamento mediatico non indifferente. In cima i due maggiori quotidiani: il laico e kemalista l’Hürriyet Daily News e il para islamico di sponda e denari gülenisti Todey’s Zaman, ma pure il Milliyet, il Sabah Yayincilik e altri  con scivolate di gossip di stile italiano. Alcune più piccanti: riguardo a già note videoregistrazioni su intrattenimenti extraconiugali di avversari politici volutamente inserite sul web dallo staff del premier. O chiacchiere di bazar: la sua voce in falsetto (troppi comizi fanno male) mostrata sulle ultime piazze che ne sminuivano l’approccio carismatico da padre virile della patria. Ogni pretesto è buono per colpirsi vicendevolmente. Il governo ha risposto con le sue tivù per le rime e soprattutto ha picchiato duro dopo Twitter anche su You Tube. A dimostrazione di come i social network, pur vantaggiosi economicamente per chi ne possiede copyright e diritti di gestione, rappresentano un veicolo di diffusione di quell’informazione alternativa, autoprodotta o con poche finanze, che li utilizza per la propria causa. Fin che può farlo.

Fra le stoccate quella sulle reali o presunte registrazioni rubate (se davvero le voci provenivano dallo studio del ministro Davutoğlu i suoi avversari politici sono piazzati benissimo) o intercettate dai potenti mezzi statunitensi di cui dispone il movimento Hizmet, sceso apertamente in contrasto politico con Erdoğan, non è dato sapere. Se riuscirà indagherà la magistratura e lo sta facendo. Con quali ingerenze della politica è storia di tutte le procure del mondo, come dimostrano panorami vicini e lontani non solo ad Ankara. Pare che in quell’incontro del ministro degli esteri turco con il sottosegretario del suo dicastero Feridun Sinirlioğlu, il capo dell’Intelligence (MİT) Hakan Fidan, il responsabile dello staff militare generale Yaşar Güler si discutesse di una possibile incursione in Siria. Probabilmente non solo come risposta all’invasione dello spazio aereo (e all’abbattimento) del Mig di Damasco avvenuto nella scorsa settimana, ma per un uso nazionalistico di questo gesto che potesse offrire una chance elettorale al premier. Questo scoop è stato utilizzato nei comizi del principale avversario dell’opposizione, il segretario del CHP  Kılıçdaroğlu che accusava Erdoğan di volersi fare strada col sangue dei militari turchi. Il quadretto, appeso sopra, sotto o di traverso al muro della propaganda elettorale lascia una scia di strumentalità.


Non che il premier e la casta militare - con cui lui ha un rapporto di passato odio e attuale amore, non foss’altro perché braccio armato di quella repressione che sta apprezzando e praticando sempre più - non potrebbero venir stuzzicati da simili intenti. Ma proprio sulla Siria Erdoğan ha iniziato a commettere quegli errori in politica estera che, uniti alla più recente crisi interna, dal 2011 a oggi hanno completamente rovesciato la sua popolarità anche internazionale. L’intervento armato contro Asad, fino a inizio autunno scorso sbandierato dal grande tutor statunitense, appare derubricato dai programmi Nato, nonostante i drammi di morte, emergenze sanitarie e alimentari restano tutti, come ci ha narrato chi è a contatto con quella tragica realtà (cfr.  Ayşe Gökkan, il sindaco che contrasta il muro). Sulla rivelazione del progetto d’intervento “limitato” all’area della tomba di Süleyman Shah (per farci cosa? conquistarla, liberarla?), sta indagando la magistratura che ha fermato e interrogato un editorialista della catena mediatica gülenista perché c’è il sospetto che sulla notizia, reale o falsa, lavorassero uomini di Fetüllah e Servizi stranieri. L’ha affermato lo stesso presidente Gül che ovviamente mantiene una posizione ufficiale.

Però già si sollevano dubbi sull’ispirazione di queste mosse giudiziarie che, secondo alcuni settori della comunicazione (Samanyolu Media Group), potrebbero proseguire quel clima censorio mostrato a tuttotondo dal governo, ma diretto verso la scorsa primavera proprio contro l’ingombrante movimento Hizmet sempre più presente nella politica nazionale. Rumors dicono che da questa sponda partono indicazioni per appoggiare col voto il partito repubblicano e, addirittura, l’oltranzismo del MHP per fra traballare le certezze del sultano. Il tam-tam propagandistico di ogni sponda è in grande attività in queste ore. E non si placherà neppure dopo lo spoglio elettorale.

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