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giovedì 10 ottobre 2013

Siria, la voglia di democrazia della comunità kurda


Presente in Italia per un tour di contatti politici Hassan Mohammed Ali, membro dell’Alto Consiglio kurdo e rappresentante esteri del Partito dell’Unione Democratica, ha esposto alcuni nodi centrali che la sua comunità presente in Siria si pone di fronte alla crisi che attanaglia il Paese.
Ginevra 2 – “Perché quest’assise prevista fra poco più di un mese sia un concreto momento di confronto e superamento fra i due blocchi: Russia, Cina, Iran a difesa di Asad; Arabia Saudita, Qatar, Turchia e forze occidentali in appoggio ai ribelli, jihadisti o meno, c’è bisogno che tutti gli attori esterni accettino in quella sede la presenza della società civile, multietnica e multiconfessionale che vive nel territorio. Quali esponenti d’una comunità ben organizzata, seppure duramente colpita dalla guerra civile, da stragi, fughe, allontanamenti forzati diciamo che non si può sottovalutare l’entità del dramma. Le cifre parlano chiaro: accanto ai centomila morti ad altrettanti feriti e prigionieri, si contano sette milioni di profughi, in gran parte donne vecchi e bambini, due milioni all’estero (Libano, Turchia, Giordania le nazioni più coinvolte), cinque milioni nelle aree siriane dove finora non imperversano i combattimenti”.
Salafiti – Secondo Hassan Ali le componenti jihadiste sono cresciute esponenzialmente portando con sé un esplicito disegno politico. I salafiti, che contavano un 5% di adesioni, hanno superato il 50%, molti sunniti moderati stanno appoggiando il loro fondamentalismo e questo potrà diventare un problema per la stessa Europa. Con ciò i kurdi di Siria non intendono sostenere l’intervento armato esterno. “La collettività non si riconosce nelle due componenti in conflitto – ripete Ali - abbiamo subìto massacri per mano jihadista e dell’esercito di Asad (negli ultimi mesi ad Aleppo con un uso massiccio di carri armati che cannoneggiavano sulle abitazioni civili). Le nostre zone sul confine turco sono oggetto di continui assalti jihadisti che da quel territorio s’infiltrano, il governo di Ankara propone di alzare un muro materiale per bloccare l’uscita dei profughi mentre da lì consente l’ingresso di guerriglieri che attentano alla vita di civili. In occasione dell’11 settembre, data simbolo per i qaedisti, abbiamo dovuto subìre nuove feroci offensive”.
Terza via – I kurdi di Siria confidano moltissimo nei colloqui di Ginevra 2, sperano venga superata la logica dei fronti contrapposti perché non stanno né col regime dittatoriale di Asad né col jihadismo fanatico che sogna emirati ad esclusione di altre confessioni ed etnìe. “La soluzione democratica – dice Ali - è la prospettiva che maggiormente si rifà alla storia siriana, un coacervo di popoli che devono coesistere e operare, non pensare a privilegi, esclusioni e sopraffazioni. Asad ha fallito perché perpetua un sistema accentratore e chiuso, c’è bisogno di creare rappresentanze che rispettino ogni componente con finalità pacifiche e di cooperazione”. Tutto ciò contro le ingerenze di chi prospetta scorciatoie con la frantumazione del territorio a vantaggio di nazioni forti in odore d’egemonia. La crisi duratura è pericolosa così come la sopraffazione di una o più parti e può costituire un precedente incendiario visto che quel che accade in Siria si riverbera sull’intero Medio Oriente. Le zone abitate dai kurdi sono ricche di petrolio (60% della produzione nazionale) più grano e cotone. “Noi non siamo disposti a cedere le terre che abitiamo da secoli - dichiara Ali - vogliamo cooperare con altri gruppi etnici e politici, per questo dovremo avere voce a Ginevra.

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