Né ‘pausa dei raid’ israeliani, proposta dagli Stati Uniti e bocciata dalla Russia, né ‘cessate il fuoco umanitario’, lanciato dalla Russia e bloccato da Stati Uniti e Gran Bretagna, trovano spazio per i veti di chi ha questa facoltà nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti. E della buona volontà dell’Onu restano soltanto le intenzioni visto che gli interessi di parte bloccano ogni cosa, come del resto accade da decenni. Se il Segretario generale dell’Assemblea esprime una valutazione sull’operato di una nazione, Israele, non d’un suo gruppo terroristico del passato che pure ha lastricato la creazione di quello Stato, un operato in perenne disconoscimento delle risoluzioni Onu (questo ricordava Guterres per quanto avvenuto dal giugno 1967 a oggi) quest’uomo, questo politico, quest’autorità super partes viene giudicata persona non gradita. A chi? Alla politica di Tel Aviv, costantemente impositiva sui propri desiderata. Mentre tutto questo avviene, Israel Defence Forces continua a tirare giù quanti più edifici possibili su Gaza e sotto quelle macerie le vittime sono più di settemila. Ma non bastano. Eppure l’Idf sostiene di abbattere esclusivamente i palazzi dei capi di Hamas e punire solo quei miliziani. Prendendo per buone tali attribuzioni Hamas risulterebbe non proprio una forza minoritaria, come sostiene la tambureggiante informazione pro Israele coi suoi distinguo fra popolo palestinese e gruppo terroristico. Ci si è messo il presidente turco Erdoğan a rigettare l’epiteto e collocare il Movimento di Resistenza Islamica nella categoria che dalla nascita nel 1987 gli appartiene: si tratta di resistenti, combattenti, patrioti della causa palestinese. Una verità innegabile. La quale prima di non piacere a Israele e a tutto l’Occidente che lo bolla come terrorista, non piace al partito palestinese rivale (Fatah) solo un tempo maggioritario. Poiché se il suo raìs Abu Mazen - il politico che Tel Aviv e Washington hanno prescelto come interlocutore privilegiato in virtù della disponibilità di aprire la Cisgiordania a ogni volere di Israele e all’occupazione ‘pacifica’ dei suoi coloni – permettesse ciò che impedisce da un quindicennio, le elezioni, Hamas mostrerebbe quel consenso che il mondo gli nega, seguito dappresso dalla Jihad Islamica.
Piaccia o meno ai sedicenti democratici del mondo politico. Il prolungato non voto ha incistato una condizione di blocco non solo per una reale rappresentanza del volere palestinese. Ha stabilito il coma d’una presunta nazione, scippata dello stesso territorio riconosciutogli dagli Accordi di Oslo e, dalle stesse direttrici di quel trattato-farsa, impedita a un’autodeterminazione economica; svuotata di risorse primarie (si pensi al noto scippo dell’acqua da parte israeliana); piegata all’elemosina dell’assistenza e dunque alla dipendenza da chi ti dà e ti toglie in base a quanto la Cisgiordania che il sionismo tollera risulti collaborativa e genuflessa. Tale condizione inquinata da una disponibilità privata di ogni dignità e foriera di corruzione ha squassato Fatah. Magari sul fronte opposto s’è creata eguale dipendenza fra il ceto politico islamista e i suoi protettori e finanziatori (il Qatar su tutti), ma gli odierni politologi e pure i comunicatori puntano dita e occhi solo su quest’ultimo peccato. Fra i mediatori di quel che appare impossibile e che invece andrebbe imposto: impedire lo stillicidio di morti innocenti che invece Israele continua a imporre, mentre accusa di barbarie chi ha ucciso i suoi civili, Erdoğan rivendica alla sua maniera un ruolo di pacificatore. Rompendo lo schema buoni-cattivi, soldati-mercenaridrogati, difensori della civiltà-terroristi. Lo fa con cattiva coscienza, perché poi in casa bolla come terroristi i militanti del Pkk e non solo loro, ma tant’è, se si sta dietro a Netanyahu e Biden, occorre ascoltare anche Erdoğan e magari Putin e Xi. Nessun capo mondiale vanta una limpidezza nell’operato recente o, per chi cavalca il potere da decenni, di lunga data. Però il doveroso richiamo del leader turco: "Quante altre tonnellate di bombe devono cadere su Gaza e quanti altri bambini devono morire per chiedere un cessate il fuoco? Qual è il vostro piano?” rappresenta una sferzata di realismo che troppi premier e presidenti volutamente evitano.
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