E’ l’acqua il bene preziosissimo tuttora carente nelle aree turche colpite dal terremoto di sei mesi or sono. Soprattutto la provincia di Hatay ha risentito dell’ondata di calura, con oltre 40 gradi centigradi, che ha colpito l’intero Mediterraneo dalla Spagna all’Anatolia. Ora le temperature sono relativamente scese, ma gli sfollati ancora sistemati nelle tendopoli risentono della carenza d’acqua corrente. Farsi una doccia continua a rappresentare un sogno perché molte condutture di canalizzazione sono ancora in fase di ricostruzione. Né è coscienzioso usare l’acqua potabile per simili bisogni. Quest’ultima comunque giunge in ogni tendopoli, mentre in alcuni casi le unità sanitarie lanciano un’attenzione particolare sui rischi che un’igiene precaria può produrre nella stagione calda. Situazioni d’infezioni intestinali si sono già verificate, i medici attraverso la Protezione civile invitano la popolazione a un accurato lavaggio della frutta e di verdure e ortaggi, soprattutto se consumati crudi. Ovviamente senza l’acqua corrente tutto è più complesso. Diversi sindaci e autorità locali si sono lamentati delle lungaggini burocratiche attuate dal governo centrale per gli aiuti strutturali, l’Agenzia che presiede il controllo delle acque reflue (Hatsu) è stata più volte criticata e additata come inefficiente, la stessa Afad, agenzia governativa per l’assistenza ai terremotati tanto difesa dal presidente Erdoğan, continua ad attirarsi polemiche per l’inefficienza mostrata in più occasioni. In alcune località ci sono ancora tonnellate di macerie da rimuovere. Anche per simili operazioni l’uso dell’acqua è indispensabile per non sollevare una gran quantità di polvere. Nelle situazioni in cui i cumuli di detriti si trovano fra palazzi rimasti illesi nei quali gli abitanti sono tornati a vivere e i calcinacci, proprio per la mancanza d’acqua, vengono caricati sui camion privi di una provvidenziale innaffiatura, la polvere vaga nell’aria per ore, provocando sui più fragili laringiti e asma. Quando invece a non essere collegata è la rete fognaria, oltre ai miasmi lo scolo del liquame produce contaminazioni con casi di diarrea e salmonella. Insomma esiste un’emergenza. Tutto ciò nonostante le reiterate promesse lanciate nei giorni successivi al disastroso sisma (una magnitudo 7.8 della scala Richter) che ha provocato solo nelle province turche oltre 50.000 vittime, 120.000 feriti e 5 milioni di sfollati.
Sia il presidente uscente, in corsa a maggio per la riconferma che poi c’è stata, sia rappresentanti locali dell’Akp promettevano immediati soccorsi, ripristino dei servizi nelle settimane seguenti, ricostruzione degli alloggi a un anno dalla catastrofe. In quegli stessi distretti molti turchi gli hanno creduto o comunque hanno ribadito la fiducia a un ceto consolidato. Ora le carenze appaiono senza possibilità di alibi e una contraddizione ancora maggiore potrà riguardare la ricostruzione, perlomeno nei tempi visto che mancano sei mesi alla data di marzo indicata proprio da Erdoğan. Rispetto alla qualità delle nuove abitazioni che dovranno seguire rigidi protocolli antisismici, c’è chi si augura che non si ripeta la prassi del terremoto del 1999, quando a un rigore costruttivo solo annunciato non s’accompagnarono gli adeguamenti delle imprese edili e i dovuti controlli da parte dello Stato. Nei crolli causati dal terremoto dello scorso febbraio, sicuramente fra i più violenti non solo della Turchia, tanto che i sismologi hanno valutato lo spostamento di alcuni metri verso ovest della placca asiatica, fra gli edifici polverizzati c’erano anche strutture con neppure un decennio di vita. Questi risultavano totalmente inadeguati alle normative vigenti, ma egualmente resi abitabili da controlli inefficienti o da collusioni tangentizie intercorse fra costruttori e amministratori. Qualcuno di loro è stato arrestato, però il disastro evidenzia mancanze amplissime a danno unicamente degli abitanti. A costoro governo e presidente hanno promesso giustizia, ripristino delle perdite immobiliari e di altri beni. Per farlo non basteranno 100 miliardi di dollari. Dall’Unione Europea ne sono giunti 7 miliardi nel primo mese, si ventilavano investimenti dall’estero, dalle petromonarchie all’Occidente. Tutto è in divenire, con ricadute anche geopolitiche dato che il Sultano vanta rapporti e centralità soggettiva in molte controversie internazionali, e nei favori globali una mano lava l’altra. Oggi l’emergenza nelle aree del sud-est turco grida: acqua, infrastrutture, ospedali e medicine per chi si sente dimenticato. Fra sindaci che mancano di risorse oltreché di stipendio, danni psicologici a chi denuncia una sorta d’abbandono e le scadenze dietro l’angolo: l’avvìo dell’anno scolastico che vedrà tanti studenti senza istituto e l’incedere dell’autunno con le temperature rovesciate, passando dall’afa soffocante, all’umidità dei temporali.
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