Definirlo “Occupy Akbelen”, sul modello di “Occupy Gezi Park”, potrebbe non portar bene alla protesta che scuote da oltre una settimana un’area boschiva nella sperduta provincia turca di Tokat. Un’ottantina di chilometri in linea d’area dal Mar Nero, a metà strada fra Samsun a settentrione e Sivas a sud, la zona abitata da poco più di mezzo milione di abitanti rientra nella fascia rurale rimasta per decenni inalterata. Abbandonata dicono i sostenitori, in maggioranza pro Akp, che appoggiano le trasformazioni tecnologiche del liberismo governativo. Incontaminata, puntualizza l’opposizione che riunisce kemalisti del Chp, sinistra ambientalista e filo kurda che sta dando sostegno alla protesta dei locali contro l’abbattimento di un’estensione amplissima di pini marittimi e abeti. Lo scontro nasce per l'attuazione d'un piano energetico da parte della potentissima Limak Holding che lì intende creare delle centrali termoelettriche che utilizzano il carbone. Ma come, diranno i più, ancora carbone? E l’inquinamento atmosferico? e il cambiamento climatico? Non è un segreto che l'antichissimo 'oro nero' continua a essere una fonte d’energia usatissima. Le potenze mondiali dell’economia ne procrastinano la data di dismissione, soprattutto il gigante cinese, India, Indonesia, Australia, Stati Uniti, Russia proseguono a estrarre, smerciare, bruciare carbone. Ma ci siamo anche noi e la Germania poiché le sanzioni al gas russo, applicate col conflitto ucraino, stanno rilanciando impianti energetici che usano il fossile. La Turchia non è da meno e l’azienda fondata nel 1976 da Nihat Özdemir, nativo proprio nell’area kurda di Diyarbakir, che fiuta affari, li afferra come una piovra anche per il rapporto di reciprocità che ha con ogni tipo di esecutivo, non è intenzionato a fermarsi davanti al risentimento popolare. Per ora si è mobilitata la non numerosa comunità locale, gente rurale, pastori e boscaioli, cui stanno dando manforte attivisti che si contrappongono a Erdoğan. Impegnato nella macro politica, il presidente non ha finora profferito parola sulla vicenda, che vede comunque il governo sostenere gli interessi della Limak colosso dell’economia della mezzaluna turca. Energia, costruzioni, infrastrutture, turismo, settore alimentare sono tutti campi in cui l’azienda investe, progetta e realizza, fermarla vuol dire limitare l’impulso industriale e la distribuzione del lavoro. Queste sono le direttive attorno alle quali i ministri dell’Economia, dell’Energia, dell’Ambiente, il governatore locale si confrontano e cercano soluzioni per trovare una quadratura del cerchio che accontenti tutti. Sarà difficile, anzi impossibile. Anche perché dopo giornate di protesta simbolica, è iniziata la resistenza passiva e attiva attorno ai fusti arborei che vengono abbattuti. Poliziotti in assetto antisommossa rintuzzano i manifestanti, li allontanano con lacrimogeni e idranti, e incrementano la rabbia sia l’avvio d’una repressione violenta, sia notizie - secondo gli ambientalisti non attinenti a verità - che in altri punti della zona verranno piantumati ulivi. Finora si son viste solo mega pale per l’abbattimento e tronchi a terra. La lotta prosegue, per ora…
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