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venerdì 26 maggio 2023

Elezioni turche: ultime battute tutte nell’ultradestra

 


Le due settimane d’attesa del ballottaggio sono diventate per Kemal Kılıçdaroğlu la via dannata al trasformismo. Ha raccolto i malumori di chi conta nel ‘Tavolo dei sei’, la lupa Akşener che non lo voleva come candidato presidente, ma s’è rimessa alla maggioranza della coalizione e dello stesso partito repubblicano stretto attorno al proprio presidente voglioso di diventare presidente della nazione turca. Lei, che nelle politiche ha confermato la bontà elettorale del İyi Partisi con tanto di buona rappresentanza nel Meclis, ha quell’autorità che manca agli ex ministri erdoğaniani, con un destino di vuoto a perdere nelle urne e nell’alleanza. Nel rimescolamento succeduto al 14 maggio Kılıçdaroğlu ha licenziato alcuni esperti di comunicazione: via il buonismo politico della campagna delle promesse, un cambiamento basato su riforme sociali, parlamentari, su una nuova primavera del Paese. Ora abbraccia l’inverno più burrascoso. Usando in prima persona il linguaggio della xenofobia, che acutamente l’avversario presidente non s’è mai sognato di pronunciare, e giù coi nuovi tabelloni elettorali che annunciano: I siriani se ne andranno. In quanti? Qui il Gandhi turco, diventa una via di mezzo fra un persecutore di stranieri e un macchiettista, promette infatti agli elettori di rimpatriare: “dieci milioni di siriani che tolgono lavoro ai turchi”. Osservatori assolutamente neutrali hanno fatto notare lo sproloquio, perché attualmente i rifugiati siriani non superano i 3.7 milioni. Con l’aggiunta di altri migranti potranno di poco superare i quattro milioni, che sono indubbiamente tante e destabilizzanti presenze, su un mercato del lavoro flagellato dall’inflazione, però il quadro presentato al Paese è falso e questo non è un buon biglietto da visita per un candidato presidente in odore di rilancio della nazione. La boutade di Kılıçdaroğlu serviva ad affermare che negli anni passati Erdoğan e il suo partito non hanno difeso i confini e l’essenza patria. Non contento, e pure destabilizzato dalla scelta operata da Sinan Oğan, di cui aveva cercato i voti per il ballottaggio e che opportunisticamente gli preferisce il presidente uscente, il candidato repubblicano è entrato in fibrillazione.

 

Negli ultimi interventi pubblici mostra ghigno e toni da guerriero, e perduto il campione dell’ultranazionalismo che s’era proposto come terzo uomo, ha abbracciato un'altra inquietante figura di quella coalizione, il leader di Zafer Partisi Ümit Özdağ. Costui è figlio di diplomatici, nato in Giappone, come Oğan ha provato la scalata al partito nazionalista, senza esito perché i fedelissimi di Bahçeli l’hanno isolato ed espulso. Veleggia così ai margini della politica, poiché la soglia di sbarramento elettorale turca non permette alle piccole formazioni di entrare nelle assisi che contano. Con l’alleanza denominata Ata - assieme a Oğan e altri fanatici dell’intolleranza a prescindere - ha tentato d’essere protagonista nella tenzone presidenziale, ora entra nel gioco della disperazione di Kılıçdaroğlu che gli avrebbe promesso, dicono le indiscrezioni, nientemeno che il ministero dell’Interno in cambio del suo milione di voti per domenica. I due si sono stretti pubblicamente la mano: “Abbiamo tenuto un incontro molto produttivo e bello” è stata la  frase di rito davanti alle telecamere, e per non essere da meno del nuovo alleato Özdağ ha detto che “tredici milioni d’immigrati (sic) devono riprendere la strada di casa”. La fiera delle cifre è in totale libertà per chi vuol ascoltare e credere. Questo legame, certamente di passaggio e funzionale al ballottaggio, punta in seconda battuta sulla sicurezza e la lotta al terrorismo. Fetö, Pkk e Isis sono i soggetti menzionati dal duo Kılıçdaroğlu-Özdağ per sbugiardare un presidente uscente ex amico dei fethullaci, dialogante col Pkk e sostenitore di gruppi jihadisti nel conflitto siriano. Complete o mezze verità, però vissute in epoche diverse dall’attuale in cui proprio il candidato anti Erdoğan cambia repentinamente linea, tradendo l’elettorato progressista che l’ha finora votato. I vertici del partito filo kurdo Hdp, hanno confermato il proprio sostegno, ma non è detto che le ultime giravolte di Kılıçdaroğlu siano accettate nel sud-est, e c’è chi teme anche fra l’elettorato delle metropoli. La corsa per il primato (e per il potere) mette a nudo i tratti del ceto politico turco: conservatore - islamico o secolare - trasformista, individualista. A costoro un popolo polarizzato s’affida. 

 

11 - continua

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